Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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107. Un filo di fumo azzurrino gli esciva dall’angolo delle labbra e, spinto dal vento, si avvolgeva al ferro, vacillava, e poi vaniva. Due farfalle bianche, di quelle che per ali hanno rapito quattro petali a una rosa di neve, esitavano su l’acqua color di perla e poi svolazzavano su per il cancello come se volessero entrare nel giardino, ma pareva non osassero passare per i vani temendo di sgualcirsi. Una alfine si posò sul ferro rugginoso, come su una corolla inflessibile.

Allora il mio amico si ricordò d’una di quelle imagini asiatiche di farfalle che gli aveva mostrate il romito del Palatino. E ripeté, in un velo di fumo, guardando con que’ suoi occhi d’ambra verdiccia quel bianco fiore di quattro petali fiorito dalla ruggine bruna: «Ha le ali ancor tremule, e già s’è posata».

Avremmo potuto incidere questa allusione alla sua anima nel suo cippo di pietra istriana, s’egli non fosse stato un guerriero, se nel suo corpo esiguo non avesse chiuso il rigore d’una volontà eroica, se la severità della sua sorte non avesse in noi annerato il ricordo del suo sorriso lieve.

Quand’anche questa immensa guerra non altro facesse che ricondurre l’uomo alla familiarità della morte abolendo quel falso limite che sembrava separarla dalla vita e dalla luce, già dovrebbe per noi essere lodata e benedetta.


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