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112. Pensavo: «Ecco un soldato d’Italia». Mi tornavano nella memoria certe sere d’ottobre, laggiù, lungo l’Isonzo, quando parlavo ai reggimenti in punto di marciare verso la battaglia. Da prima i reggimenti non avevano se non un solo viso e un’anima sola, perché io non vedevo se non la fronte allineata, a traverso la mutazione della mia voce. Ma dopo, rotte le righe, avvicinandomi, scoprivo in uno sbattimento d’ombra, in un riflesso di lume vespertino, qualche aspetto di sovrana giovinezza, qualche testa costrutta come quelle delle statue atletiche di Delfo, qualche faccia illuminata come quelle dei martiri invitti, un che di ferino e di spiritale, un che di adamantino e di fervente, come nel volto del mio visitatore. Certo, i più belli erano venuti alla guerra dopo aver fatto la pace in sé.
L’ho io fatta in me?
V’è certo, per ottenerla senza sforzo, un dono di grazia, una elezione gratuita. Allora essa scende e ci sgombra di tutte le infezioni e di tutte le fermentazioni, come dei mali incurabili accadeva al tocco del guaritore. Allora l’identità della vita e della morte diviene un sentimento luminoso. Il pericolo – come da me fu scritto in un libro di prosa ascetica – diviene l’asse della vita sublime.
Mi guardo dentro; e confesso che quella qualità di pace, quella pura tempra interna, rivelatami dalla presenza di quel giovine amico, non mi fu concessa, benché io mi sforzi di osservare la disciplina utile a conseguirla.
Si pecca per ardore, anche incontro alla morte. Dov’è la pace, non può essere l’ebrezza. Non si può dire che vi sia vero silenzio in quello spirito che il levame lirico solleva e infervora di continuo. È necessaria una certa nudità interiore, l’assenza delle imagini e delle melodie, perché l’anima imiti quella trasparenza dell’alba «dove il giorno e la notte si confondono».
Ma, poiché la divinazione di una trasparenza tanto perfetta mi rapisce, io cerco il modo di accostarmi a quello stato che mi sembra oggi il più alto per colui che vuol donare tutto sé stesso, per il volontario della sua propria libertà. Dal momento in cui quel giovine si rizzò in piedi e prese commiato per andare a vivere come si va a morire, per andare a morire come si va a vivere, la mia aspirazione lo segue. Quando udii la porta richiudersi dietro di lui, stetti in ascolto. Il suo passo tranquillo risonava nella calle stretta allontanandosi. Nondimeno egli mi appariva in un modo misterioso, riempiendomi di fremito e d’anelito.