Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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132. Lo spiazzo è deserto di carriaggi, perché domattina lo debbono spianare e inghiaiare. L’Ausa è liscia come uno specchio, senza il più lieve rincrespamento, senza la più tenue ruga. È giovine.

Varco il ponte, alla ventura. Le vie sono ancóra piene di soldati, gonfie di sangue cupo.

Torno indietro. Cammino per la strada di Palmanova. Giungo davanti alla catena tesa dalle guardie, alla barra notturna. Passo oltre, scavalcandola. L’occhio blu di un carro mi viene incontro. Come si avvicina, il chiarore mi abbaglia, perché il soldato che lo conduce ha grattato la vernice azzurra e ha scoperto nel centro un disco di luce bianca, per veder meglio la via. Mi scanso, e urto contro qualcuno che borbotta e puzza.

È un prigioniero straccione, che un lanciere a cavallo caccia innanzi, su per il margine.

Vedo, laggiù, lungo la fronte, splendere le bombe illuminanti. Arrivo all’Ospedaletto e torno indietro. Un medico fuma un sigaro davanti alla porta, tranquillo.


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