Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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149. Il dottore abbassò lo specchietto forato. La sua faccia mi piacque per una certa crudità che contrastava con tutte quelle forme della raffinatezza settecentesca in quello stanzino adorno di medaglioni mitologici.

«Chiuda l’occhio sinistro» mi disse, con un modo brusco che mi parve rendesse ancor più salda e diritta la mia spina dorsale. «E mi dica quel che vede di quella statua lucente

La doratura brillava giù per la lunga schiena, giù per le gambe lunghe della Leda callipige; e tre riflessi vividi rilevavano i tre unghielli del cigno confitti nella coscia con una violenza di rapina.

Premetti con un dito la palpebra sinistra. Non vidi più nulla, se non il doppio apice della capellatura, di da un’onda nerazzurra sottilmente orlata d’ambra.

Allora, non so perché, mi riapparve in mezzo dell’anima il viso di Donatella quale era , sul banco del suo campione, quando raccontava l’avventura dei cigni, ridivenuta sedicenne, fresca e misteriosa come la sua voce: una tra le più potenti grazie della terra.

E sentii, come Nontivolio su la riva degli Schiavoni, quanto la vita fosse bella.

Tuttavia, nel levarmi e nel ricondurre fino all’uscio col mio più affabile sorriso l’aspro condannatore, io ero accompagnato da una bellezza d’altra natura, per cui credo che piacqui al mio demonico.


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