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150. La vita è bella, anche pel monocolo; il quale può dirsi beato in paese di ciechi. Imagino che oggi siete nella casa di Silvia, o Chiaroviso, con quella veste bianca e succinta che avevate visitando la Villa Torlonia. V’intrattenete, imagino, nella «sala fresca» della fontana che alimenta lo stagno, all’ombra dei faggi. Vi si fa un concerto di oboe, di flauti e di pive, misurato da Luigi Lulli con battute di tirso? O forse la compagnia italiana condotta da Domenico Biancolelli vi recita Arlecchino e Lelio servi del medesimo padrone?
In codesto chiaro stagno le dame solevano prendere con nodi scorsoi i cervi che il suono dei corni e il clamore delle mute cacciavano verso lo scampo dell’acqua. Legavano esse il laccio a prua del palischermo e, levati i remi, si lasciavano trarre alla ventura dalla bestia perduta che tentava di riguadagnar la riva.
Non v’è in tal diporto quasi una similitudine di questi miei divagamenti? Segnis ludibria languoris.