Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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159. Calda era la notte, senza bava. Lo scirocco aveva perso ogni alito. Il latte di Galassia pareva inondare tutto il firmamento. Le stelle annegavano in una biancosa mollezza. L’acqua pareva «in ardore» come nelle maree di settembre, come intorno al tempo dell’equinozio. I due remi propagavano gli anelli della fosforescenza sino ai muri della Sacca.

Andavamo per la Sacca della Misericordia cercando l’eco. Era con noi una cantatrice dalla voce duplice, che saliva alle più alte note del soprano e scendeva alle più basse del contralto: un pallore cupo annodato da nere trecce, sopra un collo rigato dalle vene della melodia. La sentivamo tra noi vivere d’una pura vita musicale, come il violoncello di Andrea Guarneri. Ciascuno di noi era legato a lei dalla cadenza di un’aria prediletta. Non avevamo altra voce se non la sua.

Ella teneva la testa alta, come lo spettro bigio. Era attentissima, come a un richiamo. Le sue labbra serbavano la forma della modulazione. Mi pareva di vedere la nota nella sua gola come la perla nella conchiglia.

Di tratto in tratto metteva un gorgheggio e poi inclinava la testa nella pausa, come l’usignuolo quando incomincia. Tutti imitavamo quell’atto, ascoltando se la risposta venisse. Così ella tentava l’aria, tentava il silenzio.

I rematori levavano il remo, restavano sospesi, chini anch’essi dalla medesima banda, mentre dalla pala gocciolava l’acqua in collane disciolte. Poi seguitavano a remare piano, anch’essi attentissimi, cercando di divinare il luogo acconcio, scotendo il capo quando la voce non era ripercossa. Tentavano l’acqua come la cantatrice tentava l’aria. Ci sentivamo fatti d’aria, d’acqua e di musica. La gondola era uno strumento natante, col suo corpo, col suo manico, con la sua rosa, col suo scagnello.

Dov’era l’eco? Era scivolata lungo i muri? s’era nascosta sotto il ponte della Sacca?

Ma la cantatrice paziente continuava a interrogare il silenzio. Talvolta qualche nota veniva ripercossa, come se la piena eco fosse prossima. Il rematore di prua teneva il remo ritto a governare; solo vogava adagio adagio quello di poppa, senza che lo scalmo forcuto desse il più lieve stridore. Era come nella caccia di padule, quando il barchino s’accosta al branco e il fucile è già contro la spalla e l’occhio alla mira, e nessuno fiata. Ma, poco più discosto, le note si perdevano. E una strana pena cominciava a opprimerci. Qualcosa di morto era intorno a noi, era tra noi. Mi volsi, e vidi i cipressi di San Michele nel biancore lento. Rabbrividii guardando lo spettro bigio ch’era tra noi l’undecimo, immobile, rigido, più alto di tutti.


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