Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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166. Passo tra due cipressi e due magnolie. Salgo una breve scala. Un crudele ardore m’abbaglia, simile a quello che tremola sopra le stoppie deserte. Una pietra bianca, una pietra di tomba, si smuove sotto i miei piedi. Odo il lagno rauco d’una sirena che lacera laggiù la laguna torpida. Odo un maglio che batte, laggiù, su ferramenti grossi. Il cuore mi manca. Tocco il fondo della più opaca tristezza. Sono tra buio e barbaglio. Ho in un occhio l’orribile ragno nero, e nell’altro una vertigine di fiamma. Vado avanti, e non so perché non cada. Tutte le pietre delle tombe si smuovono sotto il mio passo. Discendo qualche gradino che splende e tentenna come le lapidi. Ora la ghiaia stride. Che è quella scala di luce e d’ombra? È la via dei cipressi, che rasenta il cimitero dei marinai. Vedo non so che cosa dolce e miserabile: in un campo di fango rappreso, un mucchio di piccole croci, di poveri segni, di ghirlande secche, di nomi che luccicano, di tumuli senza nomi e senza erbe. E il mio primo compagno non s’alza? non mi viene incontro? E gli altri due miei compagni dove sono?


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