Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
La Leda senza cigno
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175. V’è un superstite, un solo. Ha la sua carne sopra le sue ossa; eppure nella luce è simile a un’anima con due dolci occhi.

Ha un’anima paziente e potente come quella del re d’Itaca questo naufrago ventenne; ma i suoi occhi a mandorla sono belli come gli occhi della gioventù che danza intorno ai vasi campàni.

È un figlio della Campania, dorato come il frumento. È della stirpe costrutta secondo la «divina proporzione». Come tanto cuore può esser contenuto in quel petto breve? Si chiama Vietri, che vuol dire intrepidezza.

Quale naufrago, perduto nel mare deserto, non teme la notte? Questo non paventò la notte, ma sì scelse di superarne l’orrore, in vista del lido!

V’è un momento eroico più profondo di ogni altro: quello che scocca tra il cuore dell’uomo e tutto l’ignoto, tra il volere dell’uomo e tutto il silenzio.

Questo eroe è come disgiunto dalla sua gloria. V’è un ardore di gloria sparso nella solitudine del mare dove cercheremo la tomba di grigio metallo. E questo superstite ignora la sua virtù, e la bellezza del suo evento.

Cammina col suo passo di marinaio, provato sul guscio del battello emerso. Va lungo la proda del canale, sul prato violetto di santònico; e ha dietro sé le ombre glauche dei suoi morti.


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