Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Libro ascetico
Lettura del testo

Imagine dell’Italia, apparita presso il sepolcro d’un suo grande figlio

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

Imagine dell’Italia,
apparita presso il sepolcro
d’un suo grande figlio

[1907]

Il Rinascimento. La più luminosa parola del parlare materno questa, per gli Italiani, e la più orgogliosa, tale che non l’eguaglia lo splendore della primavera terrestre: affermazione superba della Vita, di tutta la Vita, inscritta sopra un culmine sublime della storia umana: il Rinascimento. Ma non può dare il suono vero e intero se non nella bocca ferrea della Volontà.

Fra quel che di antico è da conservare e quel che di nuovo è da acquistare, si appresta l’Operaia infaticabile a sollevarsi di sul suo travaglio e a ripetere il bando sonoro che si ripercuota in tutta la conca mediterranea? Il cuore ci esulta, se consideriamo la somma di sforzi fornita nell’ultimo ventennio dall’Italia per sola virtù propria dei suoi istinti ereditarii ad onta della inettitudine e della cecità di coloro che guidano le sorti d’un paese in cui fiorì e si maturò con tanto vigore la scienza di stato, l’arte di governare, non fondata su falsi metodi scolastici e su puerili illusioni, ma su la realtà viva, su i fatti, su l’esperienza, su quell’acuto studio degli uomini e degli istituti e delle loro analogie e dei loro rapporti, onde parvero insuperabili i nostri uomini statuali, tanto nelle repubbliche quanto allora che su la caduta delle libertà comunali si costituirono i nuovi principati e di contro al servaggio straniero s’infiammò la visione magnifica del Machiavelli.

In quel giorno di maggio – su quel mare fatale ove la Grecia rivelò la bellezza, Roma la giustizia, la Giudea la santità – il poeta volgendosi al sole ripeteva per la ricomposta patria il più solenne augurio che ne’ tempi abbia irraggiato i cieli latini: «O sole, tu non possa veder mai nulla più grande e più bello d’Italia

Accanto all’effigie dell’auspice e interprete postremo, raffiguriamoci l’aspetto della feconda Madre.

Eccola. Ella giace quasi centro di tutte le contrade ove fiorirono e fioriscono le civiltà più illustri. Quasi anello, congiunge l’Occidente all’Oriente per quel Mediterraneo mare nostro che portò su le sue acque «la più bella cosa del mondo, il genio greco, e la più grande, la pace romana». La massa formidabile delle sue Alpi sembra che s’addentri nel cuore di Europa, mentre i soffii dell’Asia e dell’Africa scaldano le sue marine ultime. Stirpi diverse, delicate e rudi, agili e vigorose, vi si congiungono e vi si fecondano. Potentissimi instituti universali in lei si formarono, e di lei vissero e vivono. Il dominio morale sembra il suo destino. I più tristi errori potranno opprimere ma non distruggere il suo genio.

Tale, o cittadini, è la sua imagine. Contemplatela accanto a quella del figlio assunto, ch’ella generò dall’impronta dantesca. La capace fronte del poeta porta un mondo compiuto. Il grembo dell’inesausta genitrice porta un infinitamente più vasto mondo che si compone e si disegna. Ella è l’artefice chiara delle stirpi confuse. Soltanto in lei la materia diversa e incandescente della nuova vita troverà i grandi conii perfetti. Soltanto in lei s’imprimeranno vive ancóra una volta le forme ideali; ed agli uomini – che si sviluppano freneticamente lottando e avanzando in tutte le direzioni e provando tutte le forze in tutti i rischi e foggiando strumenti sempre più complessi per convergere tutti gli spiriti della Natura nell’umano spirito – ella ancóra una volta le offrirà come esemplari ai quali dovranno confrontarsi, come segni ai quali dovranno mirare di continuo nella violenza della guerra e nel giubilo della vittoria.

L’antica arte aveva dato agli dei gli attributi dell’uomo, la libertà e la coscienza; all’uomo l’attributo degli dei, l’immortalità. Ippocrate aveva deposto nel tempio di Delfo, tra le statue divine, uno scheletro di bronzo esattamente costruito. Egli non sapeva forse d’aver sollevato sul piedestallo il modello del mondo, la compiuta bellezza fatta di logica necessità.

La futura arte latina rinnoverà, consapevole, la consecrazione osata dal saggio di Coo che i greci imaginarono discendente di Eracle; poiché l’ossatura umana, macchina meravigliosa fra tutte, ordinata e congegnata in ogni sua parte alla sua destinazione terribile, ci significa in silenzio la parola della più certa gioia: «Apprendi a considerar bello ciò che è necessario

Erede di tutte le virtù e di tutte le esperienze accumulate dalle generazioni anteriori; armato delle mai vedute armi ch’egli strappa alla natura per ritorcerle contro lei sottomessa; costretto a moltiplicare gli sforzi della sua volontà per essere pari all’energia cosmica da lui medesimo concentrata, che è pronta tuttavia a soverchiarlo e a ucciderlo; inalzato sopra il piacere sopra il dolore e sopra la morte dal puro desiderio di cercar nuovi ostacoli nuovi pericoli nuove mète al suo ardimento; l’uomo non è più la creatura che attende la sua redenzione per essere eletta ma è la creatura eletta già dalla nascita alla più vasta vita e alla più potente opera.

Quando l’antica poesia ebbe rinvenuto gli elementi del divino nella natura umana, ella fu tentata di andar più oltre; ciò è di sottoporre gli dei alla morte. Allora fu che l’ultimo nato delle stirpi divine venne ad appagare l’aspettazione di un nuovo dio paziente e salvatore. Ma oggi l’uomo dona a sé medesimo una nuova specie d’immortalità, volendo vivere in modo da poter desiderare di rivivere la stessa vita innumerabilmente. Il poeta, che oggi il popolo d’Italia deifica, mirò tramontare sul Mediterraneo le grandi leggende del Caucaso e del Calvario; e sentì che l’uomo è a sé il suo Prometeo e il suo Cristo.

«Preparate le vie al Signore che viene!» ci ripete egli in quest’ora, con un senso più mistico.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ma una più antica, una più arcana parola soggiunge e confida alla nostra aspettazione l’eroe che levò l’inno mattutino verso la «giovinetta eterna» e l’adorò quale già l’adoravan sul monte i nobili Aria padri. La raccolgano oggi tutti i prodi che vegliano e che s’armano.

vi sono molte aurore che ancora non nacquero




«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL