IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Comento meditato
a un discorso improvviso
I
VENTILABRVM IN MANV EIVS
Questo discorso a uomini presenti e assenti, Italiani come me stampati nella vecchia matrice della razza con chiari segni, non raccolto se non dall’orecchio o dall’animo degli uditori, quasi formato nel soffio stesso del popolo torbido e nell’aria della notte serena, quasi da me rapito al vento notturno e alla mia volontà di donarmi, è oggi da me lasciato rimprimere perché abbia il suo nome e il suo luogo fra le costellazioni fauste.
Fra le costellazioni o fra le consolazioni?
Non importa. Già mal compreso, già profanato, già falsato, già corrotto, esso ha bisogno che il mio coraggio fraterno lo rivendichi. Se io sono un Italiano esemplare di domani, o se almeno ciò ch’io non sono altri sarà domani per mia virtù, e se sarà o prima o poi manifesto che l’elemento del mio dio verace è il futuro da che sento e penso e opero, conviene ch’io confermi la mia continuità di creatura con tutte le creature del mio ceppo, con tutte le creature delle mie origini.
C’è un leone biblico, un giubato leone del Deserto, col favo di miele nelle fauci? Io non sono se non un uomo intento a superar sé stesso ogni giorno e tuttavia capace di rimasticare ogni giorno il sapore della saggezza antica.
Ecco che un vecchio stampatore diligente può parlare per me e interrompere il mio linguaggio. «La cattiva impressione forza è di disimprimere, prima di rimprimervi la buona.»
Nel solstizio d’estate io avevo liberato il mio rammarico rivolgendomi a genti d’ala sospirose di migrare e sempre sospese nel palpito dell’interno motore strapotente.
«Per me la parola publica fu sempre uno sforzo misto di pena, anche nelle ore della più disperata passione civica. Ma oggi lo sforzo m’è ancor più duro. Uscendo dalla mia solitudine, m’è sembrato di abbandonare nel profondo di me qualcosa che fosse per rivivere in figura di consolazione. Non ho mai conosciuta una tristezza più grave di questa ripugnanza a parlare dove tutti i valori del linguaggio comune sono pervertiti e falsati e confusi. Dopo la vittoria, nel giorno della stanchezza e dello stupore, il nostro Dio aveva detto, come a quegli uomini d’Oriente adunati nel paese di Sinear: – Ecco un medesimo popolo, che parla un medesimo linguaggio; e questo è il cominciamento del suo lavoro. – Ma il suo lavoro fu dissipato a un tratto nella confusione delle favelle, nella moltiplicazione delle menzogne discordi; e nessun uomo più comprese l’altro uomo, come avvenne nella incompiuta città di mattone e di bitume.»
Hanno dunque gli Italiani stroncato fiaccato e distrutto tutte le ali della difesa e della potenza, per non serbare se non quella specie di vèntola cotidiana che non più serve alla Madre delle biade per ventilare il grano su l’aia ma soltanto per dissipar vilmente qualunque traccia di parola maschia o savia? Ventilabrum in manu eius...