Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Libro ascetico
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Comento meditato a un discorso improvviso

IV IL RAGGIO E L’AUREOLA

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IV

IL RAGGIO E L’AUREOLA

Vidi rinnovarsi il baleno al nome nominato. E pensai: «Se in un viso umano c’è un raggio, anche raro, si può dall’anima umana attendersi non soltanto l’alba, non soltanto l’aurora ma il meriggio

Ora mi viene in mente una mia parola d’insonne raccolta nel diario dei miei dottori, che registravano non soltanto le pulsazioni del mio cuore ma i pensieri del mio cuore informi. È sotto la data del 22 agosto. Eccola. «Non mi guardo nello specchio. E ho le palpebre socchiuse. Eppure vedo tutte le suture del mio cranio come se le rilavorassi col mio stesso cesello. Sono più nette e più animose e più espressive che le linee della mia palma o le vene delle mie tempie e dei miei polsi. L’arte ossea non ha nulla di tanto perfetto in me. Mi vanto a torto? O medico, rispondi. Ogni buon medico è sottile conoscitore di scultura e di cesellatura. È o non è ben commesso il mio cranio d’uomo adriatico? In ogni modo, è resistente a qualunque prova, è duro contro qualunque cozzo e qualunque percossa. Lo vedete, come io vedo sorridere Ippocrate. L’ho serbato fino a oggi intatto

Non era delirio il mio; né la benignità dei dottori si trasmutava in inquietudine. Tutta la massa del mio cervello era viva nella nobiltà palese del mio cranio. La stessa memoria rifiammeggiava come nelle crepe del forno fusorio.

Certo, qualcuno di voi sa, qualcuno di voi è per rischiarare il mio ricordo scolastico. Può essere che perfino Daniello Bartoli venga a tentarmi? «Il grande Ippocrate non si recò a vergogna il ritrattare alcune cose che scritte avea delle suture del capoRiconosco il suo accento. Non lo riconoscete? Ma che aveva mai scritto delle suture l’uomo di Coo?

I miei amici indulgenti sorridevano. Non m’ingannavo nell’ombra; ché il sorriso fraterno pareva rendere affettuosa l’ombra.

La pagina del diario è qui. È per me la prova delle mie divinazioni misteriose e delle mie segrete armonie. Se richiamò il sorriso dei miei familiari e se richiama ora il mio sorriso, richiamerà anche il sorriso opaco degli estranei.

È sotto la data del 22 agosto. «Non v’è ragione che voi non diate anche a me l’aureola

Queste sono parole dell’infermo, sono parole ingenue, raccolte di su le labbra pallide, trascritte senza sforzo d’acume.

Perché a un tratto si accordano con la illuminazione subitanea della gente alata?

Il mio capo è sollevato dal capezzale. La mia mano scrive ritrovando a ogni linea gli accorgimenti del Notturno.

Penso: «Io cerco il raggio in ogni viso umano. Io so discoprirlo anche in un viso bruto, o scavato dalla miseria o corrugato dal cruccio. Io so trasmutare il raggio in aureola. Non adopero il martello né l’incudine. Non amo abbarbagliare gli uomini. Fornisco l’opera in silenzio. E mi traggo in disparte. Ma l’opera splende e significa per me e per il santificato

Così penso, e non trattengo il pensiero né lo ammaestro. Lascio che entri da sé nelle officine fuligginose aperte verso l’aurora. Non seguo il mio pensiero. Non sono intento se non alle faville.

Ma l’una visione non mi distoglie dall’altra. Ho un’ala nel lato spento ma ne ho una anche nel lato lucido. Non cesso di rivolgermi ai miei compagni armati e disarmati.

«Ogni lotta è bassa e vana se non conduca le idee alla più fiera espressione e se non tenda a quella unità che è forma d’ogni bellezza, secondo il detto di un Santo il qual seppe umanamente trovare la sua santità nell’ardore della sua intelligenza.

«Col nostro ardore è il motto che io diedi a una giovine compagnia di alati risoluta a superare i divieti e gli impedimenti, nei mesi infausti che seguirono l’armistizio. Oggi è di tutti.

«Si fa silenzio alfine, e si opera. Non s’ode se non il ritmo del fuoco, il ritmo del ferro, il ritmo di tutti gli ingegni e di tutti i congegni, l’aspro coro dell’azione indefessa.

«È ardore questo che ci raduna? Se questo è ardore, la fucina è accesa, la fucina è pronta.

«A che dunque parliamo tuttavia? E che mi giova qui ripetere quel che ho gridato per dieci anni? quel che nel più lungo volo di guerra, con eroici fratelli qui testimoni, ho affermato non tanto contro il nemico quanto verso l’avvenire?

«Se questo è ardore, se quest’adunanza è una fucina di volontà sincere, eccoci giurati insieme, eccoci insieme pronti.

«Portate qui l’incudine, e incoroniamola segno di costanza. Durabo.

«E siamo qui come quella tribù di fabbri che si creò il suo dio con le faville del suo travaglio.

«Il nuovo Signor nostro è un fabbro d’ali, è un mastro d’ali; e solo Egli può fare, o miei compagni d’orgoglio, o miei compagni di speranza, solo Egli può fare che l’Aquila romana si distacchi dall’asta dell’insegna per dominare tutto il cielo dopo aver dominata tutta la terra

Sono mie, sono mie, e recenti, queste parole, che serbano tuttora il calore misurato del mio respiro e il movimento delle mie labbra disegnate prima dal piacere e poi riscolpite dal dolore e dalla volontà per sempre.


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