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V
C’è un forame negli orecchi degli uomini e c’è di là dal forame un laberinto? E il laberinto è dunque un luogo pieno d’intrichi così spessi e dubbii che chi entra non trova modo a uscire? E come le parole della più ferma fede possono dai laberinti italiani escire con tanta facilità e con tanta prestezza?
Prima che io fossi colpito da non so che tradimento o da non so che provvidenza, prima che io fossi ferito e colcato, Ildebrando da Parma volle venire nel mio eremo a consolarmi della sua amicizia e della sua musica.
Nessuno mi piace quanto chi si mostra costantemente fedele alla mia costante fedeltà. E il poeta mi piacque come l’amico, e come l’amico mi piacque il musico.
Egli venne a comunicarmi la sua profonda e austera visione biblica di Jaele e di Dèbora. «Sia benedetta, sopra tutte le donne, Jael moglie di Heber Cheneo; sia benedetta sopra tutte le donne che stanno in padiglioni.»
Chi oggi intende parlare all’anima degli Italiani deve dunque ricorrere al gesto di Jael? deve conficcar nell’orecchio prono la verità, col piuolo e col martello?
«Sieno così conficcati in eterno, dentro i laberinti della carne, o Dio d’Italia, o Signore della Patria futura, tutti i tuoi comandamenti. E la Patria sia come quando il sole esce fuori nella sua forza.»
E non m’importa, dopo questo versetto foggiato dalla mia sollecitudine, non m’importa che il cantico di Dèbora affermi come il paese avesse riposo per quarant’anni.
Non c’è bisogno di riposo. C’è qui qualcuno che non si riposa se non quando ha le ossa rotte. E non c’è oggi colpo di bastone che abbia rotto le vèrtebre all’Italia vera e vivente, né c’è percossa della sorte che sia riescita a tenermi supino o prono.