Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Il libro delle vergini
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1 - LE VERGINI

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Di questo primo tentativo non disse nulla alla sorella. Quando sentì Camilla rientrare, chiuse li occhi, stette immobile come una dormiente, provando uno strano piacere in sé di quell'inganno, ricacciando a forza indietro il riso che la vellicava a sommo del petto e le saliva alle labbra. Ella gioiva di quel piccolo segreto: tutti i giorni aspettava con un desiderio inquieto l'ora in cui Camilla scendeva le scale; restava un momento in ascolto, seduta su 'l letto, fin che giungeva il rumore del lento discendere; poi si levava, soffocando li scoppi di riso, appoggiandosi alle pareti, ai mobili, mettendo gridi di paura sommessi ogni volta che le ginocchia minacciavano di piegarsi, ogni volta che l'equilibrio mancava.

Dal Forno di Flajano a quell'ora saliva quasi sempre l'odore del pane ad irritarla. Ella si avvicinava alla finestra per cercare il vento; provava una tortura mista di voluttà nell'aspirare quella emanazione sana, con la lingua nuotante nell'acquolina e li occhi vivi di cupidigia. Allora la prendeva una furia di frugare da per tutto, di mettere da per tutto le mani, traendosi di qua di con minore lentezza, facendo sforzi inutili e irosi su le serrature di cui Camilla aveva portato seco le chiavi. Una volta, in fondo al repostiglio di un tavolino trovò una mela e ci ficcò i denti golosamente. Da tempo nel regime severo della convalescenza, ella non assaporava un frutto. In quello era un fresco profumo di rosa, il profumo accolto che certe mele aggrinzite e scolorite hanno. Cercò di nuovo nel repostiglio, sperando; ma non trovò che una specie di siliqua verdognola, chiusa, che doveva contenere forse un gruppo di semi; e la prese, la guardò curiosamente, la nascose sotto il guanciale.

Passava così quell'ora, in segreto, con il godimento acre che danno ai fanciulli in guarigione le cose proibite, le infrazioni delli ordini dottorali, i piccoli furti. Solo testimone era un micio, tutto maculato come una pelle di serpente, che girava talvolta intorno a Giuliana con un miagolìo famigliare o si fermava teso invano a ghermire se fuori volavano su l'arco i colombi. A poco a poco Giuliana prendeva amore a quel compagno discreto. Ella lo accoglieva nel tepore del letto, gli sussurrava parole senza nesso, lo guardava lungamente leccarsi con la lingua rosea la zampa, porgere la gola di lucertola alla blandizia, una gola gialliccia che palpitava d'un suono rauco e dolce simile al tubare delle tortore nei boschi. Ella, forse per un naturale ricorso di quel suo misticismo anteriore, amava i bagliori tralucenti dalli occhi dell'animale nella penombra, quelli sprazzi di fosforo, che emanavano da una forma misteriosa e silenziosa nella penombra.

Camilla vedeva tutte queste strane predilezioni della sorella, con una specie di diffidenza ed anche di rammarico sordo, ma taceva. E lentamente, quasi insensibilmente, quelle due anime si distaccavano, si allontanavano per repulsa.

Erano prima vissute in una comunione di abitudini e di sentimenti continua, perché in loro ogni diversità d'indole e ogni insorgimento si agguagliava e placava nell'unica fede, nel culto infrangibile della deità di Cristo, in quel contemplamento ch'era divenuto lo scopo della vita loro. Ma come il culto le assorbiva intere, in loro i legami della consanguineità a poco a poco erano stati, direi quasi, coperti e sopraffatti da quelli della comune religione; quindi non mai una espansione di tenerezza, non mai un abbandono di confidenza o di ricordi o di speranze, come tra sorelle. Erano correligionarie, erano membri della grande famiglia di Gesù spersi su la terra e agognanti il cielo.

Così che a pena, per la rinnovazione operata prima dalla malattia e dopo dal regime, in Giuliana si manifestarono inaspettati atteggiamenti d'indole e modi inconsueti, la repulsa avvenne inevitabile e la voce del comun sangue sopita non si poté levare a contrasto.

 

 


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