Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Il libro delle vergini
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1 - LE VERGINI

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- Ha detto il Signore per bocca del profeta Gioele, figlio di Petuel: «Avverrà che io spanderò il mio Spirito sopra ogni carne, e i vostri figliuoli e le vostre figliuole profetizzeranno; i vostri vecchi sogneranno de' sogni, i vostri giovani vedranno delle visioni».

Questo spirito di cui li Apostoli ebbero le primizie e la beatitudine, fu per essi e per noi uno spirito di verità, uno Spirito di Santità e uno Spirito di forza... O divino amore, o sacro legame che unisci il Padre e il figlio, Spirito onnipotente, fedele consolatore delli afflitti, penetra nelli abissi profondi del nostro cuore e infondici la tua gran luce.

Così predicava Don Gennaro Tierno nella Pentecoste, dall'altare maggiore, volto al popolo ascoltante. Sopra di lui, in alto, la terza persona della SS. Trinità apriva l'arco radioso delle ali d'oro, e nella chiesa l'illuminazione dei ceri spandeva rossore simile a un riflesso d'incendio. Li enormi pilastri di pietra sostenenti le due navate, coperti di barbare sculture cristiane, cavalcavano verso l'altare pesantemente; su le pareti li avanzi dei mosaici mettevano larghe macchie di colore scuro; qualche testa di Apostolo, qualche braccio rigido di santa, qualche ala d'angelo emergeva ancora nell'offuscamento e nello scrostamento operato dai secoli. Tra i mosaici piccole navi ex voto pendevano, una intiera flottiglia di barche veliere pendeva dedicata al tempio dai naufraghi supérstiti. E in mezzo a tutta questa rude solennità primordiale si elevava agile un gruppo di colonne rosee a spira sorreggenti il pergamo anche marmoreo fiorito di acanti e animato di bassorilievi.

- Spandi la tua dolce rugiada su questa terra deserta, a fin che cessi la sua lunga aridità. Manda i raggi celesti del tuo amore fino al santuario dell'anima nostra, a fin che penetrandoci accendano fiamme consumatrici delle nostre debolezze, delle nostre negligenze, dei nostri languori! - seguitava il prete, salendo ai supremi culmini della sua eloquenza e della sua potenza vocale.

Giuliana, da presso, ascoltava, tutta raccolta. Ella si era rifugiata nella casa del Signore, ella era tornata al talamo; voleva che il Signore la purificasse e la ricevesse un 'altra volta nella benignità del suo grande abbracciamento. Quel barbaglio subitaneo di fede la abbacinava, le faceva quasi dimenticare ogni fallo anteriore. Le pareva che subitamente dalla sua anima le macchie si cancellassero e dalla sua carne cadessero le scorie dell'impurità terrena. Giammai ella si era accostata all'altare di Dio con un più profondo tremito di speranza; giammai aveva ascoltato la parola di Dio con una più lunga ebrezza.

Dall’istante in cui l'orrore della dannazione le si levò nella coscienza, ella si compresse in una specie di accoglimento cupo, quasi direi sorvegliando sé stessa, sorvegliando i propri atti, i proprii pensieri, i minimi moti, pe 'l timore che quella veemenza di pentimento si esalasse, per l'ansia di conservare intatto dentro di sé quel fiore di fede rigermogliato d'improvviso. Fu una specie d'assunzione verso Gesù; fu una specie di isolamento geloso dalla vita circostante, un ripudio di ogni legame umano.

Ella si esaltò nella lettura dei libri sacri; si gettò nella contemplazione delle imagini e dei misteri; lottò contro le molli viltà della carne, contro i calori della giornata, contro l'insidie della notte, contro i profumi che le portava il vento, contro il soffio che saliva dai suoi ricordi impuri, contro le voci che parevano vellicarle l'udito e sussurrarle segreti nuovi di piaceri.

Dopo quella settimana solitaria di passione, ella ora deponeva il sacrificio ai piedi dell'altare: beveva il balsamo della parola di Dio, fissando li occhi in alto alla colomba radiosa e sentendosi a poco a poco naufragare nel pèlago dell'estasi

- Vieni dunque, vieni, dolce consolatore delle anime desolate, rifugio nei pericoli, protettore nella sventura. Vieni, o tu che purifichi l'anime da ogni macchia e ne guarisci le piaghe. Vieni, forza del debole, appoggio di quegli che cade. Vieni, stella dei naviganti, speranza dei poveri, salute di chi è per morire - incalzava Don Gennaro Tierno, alto nella pianeta d'argento, vermiglio in volto, con occhi forzanti le orbite, con gesti che parevano toccare il cielo.

Nella chiesa una calura grave si era addensata su i cristiani. Le navate si schiacciavano su i pilastri; in una vetrata la testa di San Luca evangelista raggiava percossa dal sole e il gran manto metteva nell'aria una zona di crepuscolo verde. Il púlpito marmoreo si levava come un miracoloso fiore mistico, in quel vapore di luce.

- Vieni, o Spirito, vieni ed abbi misericordia di noi!...

Giuliana teneva li occhi all'alto: sull'onda di tutte quelle invocazioni ella ascendeva verso il nimbo, penetrata dalla ineffabile soavità che attira l'anime all'odore delli aromi spirituali. Le parve un istante di vedere la colomba d'oro balenarle un lampo di assentimento, e il cuore le balzò di giubilo nel seno come San Giovanni nelle viscere d'Elisabetta alla visita della Vergine Maria.

- Per nostro signore Gesù Cristo. Amen.

Il prete, tutto d'argento, si volse verso la custodia, dicendo a voce bassa un credo. Due turiferarii bianchi ai lati cominciarono a scuotere i turiboli fumanti e odoranti. Un nuvolo di incenso avvolse Giuliana che stava da presso, e subitamente un invincibile fiotto di nausea dal fondo della maternità le salì alla gola e le fece torcere la bocca.

 

 


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