Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Il libro delle vergini
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2 - FAVOLA SENTIMENTALE

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Ella viveva così, quando Cesare giunse. Da principio provò quasi un disgusto; le pareva che quel giovine venisse a turbarle la quiete alta e gentile della casa, venisse a interromperle la malinconia muta ove ella voleva adagiarsi, ove ella credeva di sentire la presenza invisibile dell'estinta. Ma a poco a poco ella vinse il disgusto, fu buona e cortese. Cesare era dominato lentamente dal silenzio, dal raccoglimento profondo di tutto ciò che lo circondava; e si obliò nell'arte.

Passavano delle ore nella biblioteca del vecchio conte. Nella grande sala rettangolare la luce entrava dai vetri opachi dei finestroni, avviando i fregi d'oro matto su li scaffali di noce, perdendosi nelli angoli. Li stemmi gentilizi intagliati nel legno coronavano la sommità; e nel mezzo della volta cava, rosseggiavano i larghi svolazzi di un affresco secentesco a fondo di nuvole giallognole. In penombra le file dei libri parevano come una muraglia piena di screpolature, inverdita qua e dai muschi, chiazzata dalle pioggie, solcata dalle lumache.

Galatea leggeva o trascriveva; od ascoltava Cesare parlare, con i freddi occhi aperti, abbandonata alla spalliera di cuoio. Pure tra le ecloghe fragranti e fiorenti di Virgilio e le liriche alate, e sospirose del dolce stile novo, il loro idillio non sbocciò.

Galatea non aveva che un austero e verginale sorriso di vestale antica; ella voleva esser tutta del suo mesto dio lare, che la vigilava di sotto al velo funerario.

E una volta sola Cesare sentì le sue fibre di artista vibrare dinanzi a lei. Era un pomeriggio caldo di giugno: ma la biblioteca taceva immersa nella frescura azzurrognola delle tende calate su i vetri.

Egli entrò; la fanciulla dormiva dolcemente nelle pieghe ricche e fluide di una tunica, poggiata il capo alla grande sfera delle costellazioni. La sfera pareva di avorio ingiallito, pareva come un enorme teschio umano intorno a cui strane figure di animali giravano; i capelli di Galatea sciolti ricadevano con riflessi sottili giù per le spalle; ricoprivano le gote; e un nastro aureo di sole traversando la frescura illuminava su 'l capo di lei una fila di libri in cartapecora verdastra simile a rame ossidato. Ella aveva cinte le braccia alla sfera; le larghe maniche lasciavano scoperte la carne bianca e diafana che trame di vene fiorivano.

Cesare guardava, pensando alle Norne scandinave e alle vergini merovinghe; quando ella si destò pel ferire del sole e gli sorrise viva dalle iridi ove il fulgore novo e il torpore del sonno e la meraviglia per un istante pugnarono.

- Perché vi destate, Galatea? Siete così bella nel sonno! - disse egli con un accento ingenuo di ammirazione.

Ella gli sorrise ancora, annodandosi i capelli: la guancia destra era soffusa di vermiglio, dal premere sulla sfera.

Ma quel germe d'idillio rimase chiuso in un sonetto, per sempre, come un fiore o una farfalla nella nitida prigione dell'ambra.

 

 


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