Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Il libro delle vergini
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2 - FAVOLA SENTIMENTALE

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Tornarono.

- Così presto? - disse Galatea, con un tono crudele d'ironia nella voce, fissandoli con i freddi occhi indovini.

Ella non aveva pregato il dio lare, quel giorno, per la prima volta! Allora che li squilli di Vinca si persero giù per le scale e i passi della coppia su la sabbia del viale si attenuarono, d'un tratto un'angoscia cupa l'aveva invasa, uno sgomento cupo l'aveva oppressa. Fu come un assalto inaspettato, contro cui ella si sentiva debole, contro cui ella si sentiva inerme; fu come il divampare improvviso di un incendio che ella portava dentro di sé, da tempo inconsapevole. Da prima ella non credette, ella non voleva credere, non volle penetrare quel sentimento nuovo che la sopraffaceva e la prendeva tutta; ella provò a distendervisi, senza gemere, con un abbandono cieco,

Ma no; ma dal suo cuore, ma dal fondo dell'anima sua, l'immagine di Cesare prorompeva, vittoriosamente. - Dunque era vero? Dunque ella lo amava? Dunque ella sarebbe stata infedele alla povera mamma morta?

- O mamma! o mamma! - singhiozzò allora affranta, torcendosi le braccia, nascondendosi tra i cuscini la faccia riarsa dalle lacrime.

A poco a poco quel dolore cedette; sorgeva una passione più umana, sorgeva uno strazio più umano. Le risa di Vinca parea vibrassero ancora nella vuota sonorità della volta. Era Vinca dianzi, abbandonata su quel divano, tutta odorosa e luminosa. Cesare la involgeva tutta del suo sguardo avido: egli non aveva mai avuto quel luccicore nelle pupille, mai. Erano andati soli, nel viale, giù, sotto li alberi, soli.

Ella si tormentava così, da se stessa; aspettando.

- Povera Galatea, come ti sarai tediata! - disse Vinca accarezzandole i capelli, insinuandole fra le ciocche le dita gemmanti di anelli. - Ma tu ardi, Galatea... Sentite, Conte; ha la febbre.

- No, non ho nulla, babbo; nulla.

Ed ella teneva fitti li occhi su Cesare, li occhi ardenti nel mortale pallore del viso. Poi si passò una mano su la fronte; provava uno sfinimento, un affievolimento, per tutto il corpo, un freddo sottile sottile.

- Ho tanto sonno; mi pesa tanto il capo... Ma la febbre no! Sento che dormirei tanto tanto - sussurrava con una lentezza stanca socchiudendo le ciglia, come se le venisse meno il respiro. - Dormirei... sì... tanto...

Ella si abbandonò su la spalliera; un sopore invincibile le occupava quelle povere vene esauste, le intorbidava la vita.

- Galatea! Galatea!

Le uscì un gemito dalle labbra bianche; come un soffio.

- Galatea!

 

 


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