Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Il libro delle vergini
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2 - FAVOLA SENTIMENTALE

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Fu un lungo letargo. Quando ella aprì li occhi ove ancora la nebbia del letargo fluttuava vide la testa calva del padre curva su di lei in un muto atteggiamento di timore e di dolore.

- Dov'è Cesare? - gli chiese con una voce che le moriva in gola.

- Di , figlia; con Vinca.

Ella rinchiuse le palpebre, come per affievolire l'intensità della fitta; le parve che le giungesse come un rumore lieve di risa soffocate.

Vinca e Cesare empivano tutta de' loro amori e delle loro giovinezze la vecchia casa austera; i segreti dei loro amori si nascondevano all'ombra delli arazzi scolorati ove nella rosea lucidità della seta un bel popolo ignudo di ninfe e di cacciatrici aveva fiorito un giorno. Cesare in braccio a quel piacere si abbandonava con tutto l'impeto oblioso delle nature represse; egli se la vedeva sempre dinanzi quella bella e perversa maliarda a cui la gengiva vermiglia si scopriva sempre nel riso e nel sorriso; egli se la vedeva sorgere tra gl'immani candelabri di noce scolpito, tra i seggioloni stemmati, tra li specchi appannati e macchiati, sotto i baldacchini rigati d'oro, sotto le portiere pesanti, in mezzo a tutte quelle cose morte; da per tutto, erta e procace e sfidante.

Galatea sentiva quell'anelito nuovo; col meraviglioso istinto che a lei dava il morbo, aveva indovinato.

- Fammi morire! fammi morire! - ripeteva ella fra i singulti, gittata come uno straccio dinanzi all'effige della madre, guardando con li occhi stravolti dallo spasimo quel velo muto, giù, nella stanza lontana. - Fammi morire!

Ma al fine Vinca partì: il marito la voleva. Fu una partenza improvvisa, in una mattina fredda e grigia di ottobre.

- Addio, Galatea. Addio, Conte. Addio, Cesare.

Ella non era triste; ella era solo un po’ pallida, a traverso il velo nero. Baciò Galatea tante volte; tese la mano a Cesare che stava ritto senza parlare.

- Ci rivedremo a primavera - gridò ancora affacciando la testa allo sportello della carrozza, agitando le dita. E il trotto dei cavalli si perse pel viale, sotto le robinie che si accasciavano nella grande umidità nebbiosa.

Allora Galatea sentì un sollievo dolce penetrarle a poco a poco nell'anima; sentì li antichi silenzi ridiscendere lenti e solenni a regnare su la casa; sentì co 'l sollievo anche uno sfinimento placido ove la sua povera vita si estingueva come sommergendosi. Erano i giorni limpidi e tepidi dell' estate di San Martino: un velo di sopore aleggiava su la campagna godente in quelli ultimi abbracci del sole.

Ella amava ora il sole; ella voleva che i raggi benigni la involgessero tutta come in una veste fluida di oro; ella dava la faccia al calore pieno, chiudendo le palpebre, provando un senso di piacere nella gola a quella blandizia.

- Com'è gentile! - diceva ella, sommessa. Cesare, da canto, la guardava con un sorriso pieno di malinconia.

- Cesare... - ruppe ella un giorno al fine, con un impeto, tendendogli le scarne braccia. Ma tacque poi; ricadde nella muta stanchezza donde invano tentava di sorgere. Il petto esile aveva un alenare fioco, sotto le pieghe della tunica.

Ella salì all'organo che dormiva, da tempo, in un angolo della biblioteca. Cesare tirava i mantici polverosi: i mantici ansavano con un respiro ampio di gigante umano, nel silenzio, suscitando le anime dei suoni entro le lunghe canne metalliche. Galatea ricordava su i tasti un'armonia di Bach, incertamente.

Nella biblioteca, dai finestroni aperti, entravano zone vive di luce. Le file dei libri, a quella irruzione insolita, rivivevano, gittavano anch'esse le loro note deboli dai curvi dossi tarlati. Era tutta una gamma di colori: li Annali di Baronio e di Raynaldo nella cartapecora verdognola prendevano riflessi dubbii di bronzo antico; li Acta sanctorum gialleggiavano e biancicavano in una tinta di tonache domenicane, occupando quasi intero uno scaffale altissimo; in quel biancicore Strykius faceva una macchia vivace di azzurro e il piccolo Fréret vibrava quasi uno sprazzo audace di scarlatto. Erano poi toni scialbi e varii di tappezzerie usate; erano vecchiumi di cuoio, chiazze di un rossastro di ruggine, di un violaceo livido, di un arancio sbiadito. Ma il sole avvivava quei toni, destava luccicchii nuovi nell'oro morto, infondeva un'aria di giovinezza a quelle carte che la polvere e la muffa di tanti lustri copriva.

Dalle canne dell'organo li accordi di Bach si spandevano pe 'l vano timidamente; sotto le dita diafane di Galatea i tasti cedevano appena. Ella sentiva il fremito sonoro correrle pe’ i nervi con un senso quasi di dolore; ella si sentiva mancare il respiro.

- Cesare - mormorò con un filo di voce, abbandonata su la spalliera, vinta dallo stesso mortale sopore di quella volta.

E, come tese le braccia, esalò al fine l'animula blanda in un sospiro.



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