Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Il libro delle vergini
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3 - NELL'ASSENZA DI LANCIOTTO

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...Il mezzogiorno trascorso a pena. Avevano finalmente la sera innanzi deciso di cavalcare alla pineta; e il pomeriggio di quel marzo morente era lusingatore.

Si misero per la via grande. Cavalcavano a fianco al trotto di caccia; da principio silenziosi. Gustavo costringeva un poco indietro il suo baio, per guardare la figura sottile ed eretta di Francesca che chiusa nell'amazone nera, avendo le masse dei capelli castanei raccolta sotto il feltro elegante, manteneva con la ferma stretta del guanto il sauro in quel trotto leggero. Ella così era tutta intenta nel diletto di sentirsi il vento su la faccia, di sentire l'anima urtare co 'l pie' nervoso il terreno elastico e sonante. Quando un riccio di capelli le irritava gli occhi, ella lo rimandava in dietro su le tempie con un movimento vivo del capo. Una volta diede un colpo di frustino su la siepe che limitava la via, piegando il fianco verso quel lato; una torma di uccelli si levò rumorosamente nello azzurro, in quell'azzurro avente allora la dolcezza diffusa che ride fra li intervalli delle nuvole dopo la pioggia su la campagna stupefatta. Nella campagna allora si sentiva come l'influenza pacifica della Dea nivale, di quella figura che era la linea più grandiosa del paesaggio circostante. Pei seminati stavano sparsi i coltivatori.

- A sinistra, Francesca - avvertì Gustavo spingendosi avanti.

Venivano in contro due paia di bovi aggiogati, infiocchettati di rosso, forse tolti poco prima dal carro, condotti da una specie di vecchio fauno che reggeva in mano le funi.

Il sauro ruppe il trotto, entrando in un moto di piccolo galoppo, senza avanzare. Francesca teneva corte le briglie, chinata, in un atteggiamento audace, per guardare le zampe dell'animale moventesi in quel gioco pieno di grazia. Gustavo ammirando diceva che il sauro avrebbe saputo galoppare anche nel cerchio di un napoleone d'oro. Allora una voglia di corsa avventurosa prese Francesca; le narici rosee le si dilatarono al sentore del vento.

- Hop! hop! hop! hurrà!

Si mossero insieme di slancio i cavalli, crescendo vivamente nell'animazione, quelle belle e giovini bestie che avevano anche fiutato la primavera.

- Hop!

La cavalcatrice ora si eccitava; il vento fresco, quasi freddo, le metteva il rossore nella faccia, metteva un increspamento nelle labbra tra cui apparivano i denti e un po' della gengiva superiore. Ella aveva uno di quelli oblii felici che le persone sane hanno, quando un esercizio di forza e di agilità le diletta e le commuove di sensazioni vivaci. E come dalla gioia nasce una bontà naturale di espansioni, ella ora si sentiva attratta verso Gustavo che le galoppava a lato, ella ora sentiva che quella effusione di benessere la congiungeva a lui.

- Hop! hop!

Non si guardavano, ma provavano il profondo incanto che il guardarsi dentro le pupille. La strada volgeva a gomito; un piccolo ponte traversante un canale risuonò al passaggio: la pineta in fondo nereggiava, ponendo su 'l cielo lo stesso ondeggiamento montante che hanno i dorsi nelle masse di bestiame, segnatamente di pecore, in cammino.

- La pineta! - gridò primo Gustavo, tenendo da quella parte il frustino. Arrivava su 'l vento l'aroma resinoso. E il cavaliere disse, curvandosi un poco verso la compagna:

- Aspirate, Francesca. Quest'odore fa bene.

Egli disse queste semplici parole con un accento indescrivibile, come avrebbe detto il principio impetuoso di una lirica d'amore. La festa della sua giovinezza ora esplodeva luminosamente; egli non la comprimeva, non la voleva comprimere. Nessuna forma di felicità è forse più dolce che l'essere al fianco dell'amata, cavalcando, a traverso la primavera nascente, verso una mèta d'amore. Quelli insorgimenti di libertà barbara, che li uomini hanno nel sangue, ora facevano a lui dimenticare il fratello. La donna del fratello era bella ed egli la conquistava.

- Hop! hop!

La pineta era vicina; dentro la selva dei fusti altissimi penetrava a zone magnifiche il sole, e pe 'l chiarore s'allontanavano fughe di portici favolosi. Entrarono al passo, lasciando perdere le briglie mentre i cavalli sbuffavano rumorosamente scuotendo la testa o appressavano le froge come per parlarsi in segreto. Dinanzi, si alzavano i voli delli uccelli spaventati. Sopra il capo, si aprivano raramente quelli spazi di cielo che tra il verde muta il suo azzurro in un violetto soave.

Così esploravano il bosco. A traverso il labirinto, tra fusto e fusto, i cavalli non potevano camminare insieme. Francesca andava innanzi un po' affaticata dalla corsa; accarezzando con la mano aperta il collo fumante del sauro. Dietro veniva Gustavo, in silenzio. Ma dai cespugli un profumo acuto, di fiori che non si vedevano, saliva; un profumo che li turbava e li faceva desiosi. Erano in una di quelle brevi radure, per lo più circolari, dove si sente più vivo e penetrante il fascino della selva.

- Ah, Gustavo, guardate quel fiore! - esclamò Francesca additando. - Se mi tenete il frustino, lo colgo da me.

E, dato il frustino, ella si curvò dalla sella con una movenza agile: mentre il sauro urtava con una zampa arcuata il terreno. È una cosa che accade sempre, comunemente, in tutte le cavalcate a due, nei libri di romanzo e nella vita reale.

Quello era un piccolo fiore rosso, di una fragranza fine.

- Odoratelo, Gustavo - ella fece, e glie l'accostò alle nari.

Una tentazione: Gustavo le sfiorò le dita con la bocca calda, tremando. Ella non disse nulla, ma mutò un poco nel viso; e spinse il cavallo innanzi.

- Ascoltate, Francesca, un momento! - le gridò dietro il giovane, anch'egli spingendo l'animale. E fu quasi un inseguimento a traverso la densità pericolosa delli alberi, un calpestìo sonoro su le pine secche tra i cespugli. Un braccio di lei aveva urtato in un tronco, seccamente.

- Fermatevi, fermatevi! Vi fate male.

Ella era giunta nel folto, dove il cavallo si rifiutava di avanzare. I grandi pini sorgevano diritti ed inflessibili nel penetrale del bosco. Tutto in torno, nell'illuminazione verde, alberi, alberi!

- Fermati!

E si trovarono tutti e due a faccia, impalliditi, esitanti; mentre i cavalli scalpitavano irritati dal morso.

- Avete urtato il braccio. Sentite male? - chiese Gustavo con la voce rauca e dolce. Egli costrinse il cavallo ad avvicinarsi, prese il braccio di Francesca leggermente, sbottonò la manica al polso. Francesca lasciava fare, guardava. La manica dell'amazone era così stretta! Si scoperse, tra il guanto e il panno nero, il polso rotondo, niveo, quel polso rigato di vene come la tempia di un fanciullo. Gustavo stringendo il polso tra le dita, con l'altra mano cercava di tirare in la manica. Il cavallo scuoteva le briglie lasciate su 'l collo libero.

- Ecco!

Su 'l braccio, vicino al gomito, c'era una macchia rossa che cominciava ad illividirsi; una piccola ferita cattiva nel candore della pelle molle di lanugine. Gustavo la voleva baciare. Ma allora Francesca rapidamente, bellissima nell'atto, rapidamente, concesse al fratello di Lanciotto la bocca, mentre scalpitavano i cavalli irritati.

Si rimisero su le tracce per uscire. Il tramonto suscitava maggiore abbondanza di incensi dalla boscaglia ove morivano i bagliori tra quella ultima visione di portici favolosi. E poi, nel prato umido, dinanzi al trotto dei cavalli fuggirono i conigli bianchi e grigi con ritta la coda sparendo in mezzo all'erba nuova.

 

 


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