Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Il libro delle vergini
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3 - NELL'ASSENZA DI LANCIOTTO

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In quel momento la luna si levava lentamente tra li alberi, casta ed argentea secondo il costume; e veniva su i vetri delle finestre a vincere il chiarore fievole che la ventola verde dall'interno effondeva.

Donna Clara aveva richiuso li occhi. Dopo qualche minuto, ai due, che rimanevano taciti, in piedi, disse con la voce indebolita:

- Sarete stanchi... Mandatemi Susanna. Andate voi a cena.

Essi uscirono dalla stanza; provavano quasi una soddisfazione di fanciulli liberati dal castigo, si guardarono sorridendo nelle pupille.

- Oh mamma, li aranci! - gridò Eva correndo incontro a Francesca, abbracciandola alle ginocchia in un impeto di gioia, con un arancio stretto in ciascuna mano. Ella le si arrampicò, parve, sino ai fianchi, con un'agilità di scoiattolo, e le si strinse al collo mettendole nel viso l'alito che odorava delle frutta succhiate.

- Vuoi li aranci?

Andarono così nella sala rossa; sedettero alla cena che Eva riempì del suo clamore, delle sue piccole grazie di bimba golosa. Ella, nella sua inconsapevolezza, faceva da complice.

- Oh mamma, sbucciami l'arancio.

La mamma ficcò nella scorza fragrante le unghie fini e rosee per aprirla: e le dita le si inumidivano del succo premuto e nelle unghie le restava una lieve colorazione d'oro. Eva guardava con una ingordigia di rosicante famelico. Quando il frutto fu nudo, ella fece il sacrificio di uno spicchio alla mamma e a Gustavo.

- Questa metà per uno - disse gravemente. - Mordi, mamma.

Francesca franse con i denti la metà dello spicchio, sorridendo.

- Prendi tu ora.

Gustavo prese tra le labbra l'altra metà; ebbe una sensazione deliziosa.

Nella sala c'era quel tepore emanante dalla vaporazione dei cibi caldi, quel tepore che mette nel sangue una pigrizia, una beatitudine inerte, dopo il pasto. La luce scendeva placida dal globo pendulo di porcellana.

Gustavo si alzò, andando verso la finestra ad aprire.

- Che luna meravigliosa! - esclamò: poiché in lui, che aveva quasi nulla mangiato, la sentimentalità di amante novello ora a quell'albore si commoveva.

Francesca ebbe un moto di fastidio: l'aria fredda entrava a turbarle il calore dolce ove ella s'era adagiata, a scuotere quell'abbandono pieno di fantasie vaganti e di desideri indeterminati ove ella stava per cullarsi.

- Chiudete per carità, Gustavo!

- Venite un momento a vedere.

Ella si levò dalla sedia a fatica; all'affacciarsi ebbe un brivido, si strinse tutta, nascondendo le mani dentro le maniche ampie della veste; instintivamente si accostò a Gustavo.

Dinanzi, nell'immensità della notte calava la luce della luna, la pace della luna, dove tutte le cose sommerse davano come la visione indistinta di un fondo sottomarino con le sue grandi flore animali tra cui è un brulichio pieno di orrore. Le montagne della patria coperte di neve si avvicinavano, quasi incombevano al piano; si poteva discendere con lo sguardo in tutte le cavità d'ombra, salire tutte le sommità luminose. Parevano come le grandi vertebre di una terra il cui sole fosse estinto da secoli; davano come l'impressione del paese lunare visto a traverso il telescopio.

Essi guardavano, muti. La grandezza di quella scena naturale per un momento li dominava. Stavano da presso, toccandosi con i gomiti, toccandosi con le ginocchia.

Dietro di loro Eva giuocava su la tavola tagliuzzando le scorze delli aranci rimaste nei piatti, mormorando parole vane, aspettando che il sonno se la prendesse tra le braccia.

Gustavo, pianamente, insinuò le dita dentro le maniche di Francesca e le prese il pugno nudo sotto la stoffa che lo copriva.

- Lasciate, Gustavo, lasciate! - disse ella volgendosi indietro, temendo d'Eva; e nel volgersi mise su 'l collo di lui un alito.

Egli non intendeva, egli si sentiva salire alla faccia, sotto la pelle fredda per l'aria della notte, tutto il sangue del cuore, una vampa.

Le aveva prese le due mani, si curvava per coprirle di baci.

- No, non qui, Gustavo...

Egli non intendeva. Francesca svincolò una mano dalla stretta; per respingerlo affondò la mano nei capelli di lui, gli sollevò il capo. Poi si allontanò, si avvicinò alla tavola; tremava tutta.

- Che freddo! - disse. - Chiudete.

Gustavo sporse all'aria la fronte, stette un istante con il petto inclinato verso la notte. Egli voleva così placare il tumulto, il calore. Poi chiuse; si volse; era pallido, con qualche cosa di convulso nella bocca.

Francesca s'era rifugiata accanto ad Eva.

La bimba aveva chinata la testa su la tavola, su la tovaglia nivea, poiché il sonno l'avvinceva; era di rosa, tutta di rosa con un sorriso vago su tutta la faccia; le palpebre chiuse erano così diafane che parevano lasciar trasparire lo sguardo; da la bocca aperta usciva un soffio lento, il respiro.

- Dorme - sussurrò la madre. E fece segno a Gustavo di camminar piano.

- La porterò io , nella stanza - disse piano Gustavo.

Ella in quelle parole fiutò l'insidia, e sorrise con un lieve moto d'ironia nel labbro inferiore. Ma Gustavo s'era avvicinato; delicatamente sollevava ora su le braccia il piccolo corpo inerte di Eva. Andavano così per le scale; Francesca innanzi, Gustavo dietro. La testa della bimba pendeva da una parte, mostrando la gola molle, lasciando piovere le chiome.

Nella stanza ardeva una lampada, in mezzo alla vòlta, con una illuminazione quasi lunare. Dalli abiti, dalle biancherie, da ogni angolo esalavano i profumi e nuotavano nell'aria.

- Mettetela su 'l letto, , in quello.

Gustavo adagiò la bimba. Già gli tremavano le braccia; egli sentiva il profumo che una volta l'aveva fatto trasalire. Francesca stava china su la figlia, la guardava dormire, aspettando che Gustavo parlasse. Egli non parlò; la prese per le braccia d'improvviso, le mise la bocca su la nuca dove due o tre piccoli riccioli erano bianchi di cipria. Aveva nelli occhi quel luccicore cupo, nella faccia quell'ardore cupo che Francesca riconosceva. Ma Francesca non voleva questo; la offendevano le violenze.

- No, no, Gustavo. Andate, - disse ella seria, riavviandosi i capelli su la nuca. - Siate savio.

Allora in lui tutta l'onda contenuta della passione irruppe. - Egli l'amava! Egli sentiva di impazzire. Lo lasciasse almeno restare un'ora , inginocchiato su 'l tappeto, in quella stanza, in quell'odore! Egli non chiedeva niente più; fosse buona!

- No, andate. Si sveglierà Eva.

Egli incalzava. - Eva era nel primo sonno; non poteva svegliarsi. Egli sarebbe stato senza muoversi. Lo lasciasse rimanere; ancora un poco, ancora un poco!

S'era riavvicinato, le prendeva i polsi, supplicava con lo sguardo; la voleva lentamente soggiogare. Francesca sentiva che avrebbe ceduto, poiché una dolcezza e una stanchezza vaghe incominciavano a penetrarla. Ella volse due o tre volte li occhi in torno a sé, assalita da una inquietudine, poiché Gustavo l'aveva presa alla vita attirandola. Un'ultima rivolta la tenne forte contro il languore.

- Ma lo sapete, Gustavo, quello che noi facciamo?

Gustavo la strinse, le cercò la bocca. - Egli l'amava! Egli l'amava!

 

 


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