Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
Lettura del testo

2 - LA VERGINE ANNA

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Nell'estate del 1835 Luca partiva per un porto della Grecia sul trabaccolo Trinità di Don Giovanni Camaccione. Siccome egli aveva nell'animo un segreto pensiero, prima di navigare vendé le masserizie e pregò i parenti d'accogliere Anna nella casa fin che egli non tornasse. Di a qualche tempo il trabaccolo tornò carico di fichi secchi e d'uva di Corinto, dopo aver toccata la spiaggia di Roto. Luca non era tra la ciurma; e si vociferò poi ch'egli fosse rimasto nel paese dei portogalli con una femmina amorosa.

Anna si ricordava dell'antica ospite balbuziente. Una gran tristezza allora discese nella sua vita. La casa dei parenti era sotto la strada Orientale in vicinanza del Molo. I marinai venivano a bere il vino in una stanza bassa, ove quasi tutto il giorno le canzoni sonavano tra il fumo delle pipe. Anna passava in mezzo ai bevitori portando i boccali colmi; e il primo istinto de' suoi pudori si risvegliava a quel contatto assiduo, a quell'assidua comunione di vita con uomini bestiali. Ad ogni momento ella doveva soffrire i motti inverecondi, le risa crudeli, i gesti ambigui, la malvagità delle ciurme inasprite dalle fatiche della navigazione. Ella non osava lamentarsi, poiché mangiava il pane nella casa degli altri. Ma quel supplizio di tutte le ore la rendeva ebete: una imbecillità grave le opprimeva a poco a poco l'intelligenza indebolita.

Per una naturale inclinazione affettiva dell'animo, ella poneva amore agli animali. Un asino di molta età era ricoverato sotto una tettoia di paglia e di argilla, dietro la casa. Il quadrupede mansueto portava cotidianamente some di vino da Sant'Apollinare alla tavernella; e, se bene i suoi denti cominciavano a ingiallire e le sue unghie a sfaldarsi, se bene il suo cuoio era già secco e non aveva quasi più pelo, talvolta al conspetto di una fiorita di cardi ridirizzava le orecchie e si metteva a ragliare vivacemente in un'attitudine giovenile.

Anna empiva di profenda la greppia e di acqua l'abbeveratoio. Quando il calore era grande, ella veniva sotto la tettoia a meriggiare. L'asino triturava i fili di paglia tra le mandibole laboriose, ed ella con un ramo fronzuto faceva opera di pietà liberandogli la schiena dalla molestia degli insetti. Di tanto in tanto l'asino volgeva la testa orecchiuta, per un increspamento delle labbra flosce mostrando le gengive quasi in un rossastro riso animalesco di gratitudine e mostrando per un moto obliquo dell'occhio nell'orbita il globo giallognolo e venato di paonazzo come una vescica di fiele. Gli insetti turbinavano con un ronzio pesante su 'l fimo; non dalla terra né dal mare venivano romori o voci; e un senso infinito di pace occupava allora l'animo della donna.

Nell'aprile del 1842 Pantaleo, l'uomo che guidava il somiere al viaggio cotidiano, morì di coltello. Da quel tempo ad Anna fu commesso l'ufficio. Ed ella partiva su l'alba e tornava sul mezzogiorno o partiva sul mezzogiorno e tornava su la sera. La strada volgeva per una collina solatìa piantata d'olivi, discendeva per una terra irrigua messa a pasture, e risalendo tra i vigneti giungeva alle fattorie di Sant'Apollinare. L'asino camminava innanzi, con le orecchie basse, a fatica: una frangia verde tutta logora e stinta gli batteva le coste e i lombi; nel basto luccicavano alcuni frammenti di làmine d'ottone.

Quando l'animale si soffermava per riprender fiato, Anna gli dava qualche piccolo urto carezzevole sul collo e l'eccitava con la voce; poiché ella aveva misericordia di quella decrepitezza. Ogni tanto strappando dalle siepi un pugno di foglie, le porgeva in ristoro; e s'inteneriva sentendo su la palma il movimento molle delle labbra che ricevevano l'offerta. Le siepi erano fiorite; e i fiori del biancospino avevano un sapore di mandorle amare.

Sul confine dell'oliveto stava una gran cisterna, e accanto alla cisterna un lungo canale di pietra dove le vacche venivano ad abbeverarsi. Tutti i giorni Anna faceva sosta in quel luogo; ed ella e l'asino si dissetavano prima di seguire il cammino. Una volta ella s'incontrò col custode dell'armento, che era nativo di Tollo e aveva la guardatura un poco losca e il labbro leporino. L'uomo le volse il saluto; e ambedue cominciarono a ragionare dei pascoli e dell'acqua, e poi dei santuarii e dei miracoli. Anna ascoltava con benignità e con frequenza di sorriso. Ella era macilente e bianca; aveva gli occhi chiarissimi e la bocca stragrande, e i capelli castanei pieganti indietro tutti senza spartizione. Nel collo le si vedevano le cicatrici rossicce delle bruciature e le si vedevano le arterie battere d'un palpito incessante.

Da allora i colloquii si reiterarono. Per l'erba le vacche stavano sparse; e giacevano ruminando o pascolavano in piedi. Quelle moventi forme pacifiche aumentavano la tranquillità della solitudine pastorale. Anna, seduta su l'orlo della cisterna, ragionava semplicemente; e l'uomo dal labbro fesso pareva preso d'amore. Un giorno ella, per un improvviso spontaneo rifiorir del ricordo, narrò la navigazione alla montagna di Roto. E, poiché la lontananza del tempo le ingannava la memoria, ella diceva con accento di verità cose meravigliose. L'uomo stupefatto ascoltava senza batter le palpebre. Quando Anna tacque, ad ambedue il silenzio e la solitudine d'intorno parvero più grandi; ed ambedue restarono in pensiero. Venivano le vacche, tratte dalla consuetudine, all'abbeveratoio; e a tutte penzolava fra le gambe il gruppo delle mammelle rifornite di latte dalla pastura. Come esse avanzavano il muso nel canale, l'acqua diminuiva ai loro sorsi lenti e regolari.

 

 


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