Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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2 - LA VERGINE ANNA

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Su gli ultimi giorni di giugno l'asino infermò. Non prendeva cibobevanda da quasi una settimana. I viaggi s'interruppero. Una mattina che Anna discese alla tettoia, scorse la bestia tutta ripiegata su lo strame in un avvilimento miserevole. Una specie di tosse roca e tenace scoteva di tratto in tratto la gran carcassa malcoperta di cuoio; sopra gli occhi s'erano formate due cavità profonde, come due orbite vacue; e gli occhi parevano due grosse bolle gonfie di siero. Quando l'asino udì le voci di Anna, tentò di levarsi: il corpo gli traballava su le zampe e il collo gli si abbatteva giù dalle spalle acute e le orecchie gli penzolavano con i movimenti involontari e incomposti di un enorme giocattolo che avesse guaste le commessure. Un liquido mucoso gli colava dalle nari, talvolta allungandosi in filamenti sino ai ginocchi. Le chiazze nude nel pelame avevano il colore azzurrognolo e quasi cangiante della lavagna. I guidaleschi qua e sanguinavano.

Anna, allo spettacolo, si sentì stringere da una angoscia pietosa; e, poiché ella per natura e per uso non provava alcuna ripugnanza fisica in contatto della materia immonda, si accostò a toccare l'animale. Con una mano gli sorreggeva la mascella inferiore, con l'altra una spalla; e così cercava di fargli muovere i passi, sperando in qualche virtù dell'esercizio. L'animale prima esitava, squassato da nuovi sussulti di tosse; poi finalmente prese a camminare per la china dolce che scendeva al lido. Le acque, dinanzi, nella natività del giorno biancheggiavano; e i calafati verso la Penna spalmavano una carena. Come Anna levò il sostegno delle mani e trasse la corda della cavezza, l'asino per un fallo de' piedi anteriori stramazzò d'improvviso. La gran macchina delle ossa ebbe un scricchiolio interno di rotture, e la pelle del ventre e dei fianchi risonò sordamente e palpitò. Le gambe fecero l'atto di correre; per l'urto, dalla gengiva uscì un poco di sangue e tra i denti si diffuse.

Allora la donna si mise a gridare andando verso la casa. Ma i calafati, sopraggiunti, in conspetto dell'asino giacente ridevano e motteggiavano. Uno di loro percosse col piede il ventre del moribondo. Un altro gli afferrò le orecchie e gli sollevò il capo che ricadde pesantemente a terra. Gli occhi si chiusero; qualche brivido corse fra il pelame bianco del ventre aprendone le spighe, come un soffio; una delle gambe di dietro batté due o tre volte nell'aria. Poi tutto fu immobile; se non che nella spalla, ov'era un'ulcera, si produsse un lieve tremolio, simile a quello che per la molestia d'un insetto avveniva dianzi volontario nella carne vivente. Quando Anna tornò sul luogo, trovò i calafati che tiravano per la coda la carogna, e cantavano un Requiem con false voci asinine.

Così Anna rimase in solitudine; e per lungo tempo ancóra visse nella casa dei parenti ed ivi appassì, adempiendo umili uffici, e sopportando con molta pazienza cristiana le vessazioni. Nel 1845 il mal caduco riapparve con violenza; sparve dopo alcuni mesi. La fede religiosa in quell'epoca divenne in lei più profonda e più calda. Ella saliva alla basilica tutte le mattine e tutte le sere; e s'inginocchiava abitualmente in un angolo oscuro protetto da una gran pila di marmo dov'era figurata con rozza opera di bassorilievo la fuga della Sacra Famiglia in Egitto. Da prima scelse ella forse quell'angolo attratta dal docile asinello trasportante il pargolo Gesù e la Madre alla terra dell'idolatria? Una gran quietudine d'amore le discendeva su lo spirito, quando aveva piegate le ginocchia nell'ombra; e la preghiera le sgorgava puramente dal petto come da una fonte naturale, poiché ella pregava soltanto per la voluttà cieca dell'adorazione, non per la speranza d'ottener grazia di beni nella vita terrena. Ella pregava, con la testa china su la sedia; e come i cristiani nell'accedere e nell'uscire attingevano con le dita l'acqua della pila, e si segnavano, ella a quando a quando trasaliva sentendo su' capelli qualche stilla benedetta cadere.

 

 


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