Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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2 - LA VERGINE ANNA

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Quando nel 1851 Anna venne la prima volta al paese di Pescara, era prossima la festa del Rosario, che si celebra nella prima domenica di ottobre. La donna si mosse da Ortona a piedi, per sciogliere un voto; e, portando chiuso in un fazzoletto di seta un piccolo cuore d'argento, camminò religiosamente lungo la riva del mare; poiché la strada provinciale non ancóra in quel tempo era praticata, e un bosco di pini occupava molta estensione di terreno vergine. La giornata pareva dolce, se non che nel mare le onde andavano crescendo, ed all'estremo limite andavano crescendo in forma di trombe i vapori. Anna avanzava tutta assorta in pensieri di santità. Nel far della sera, come ella fu sul luogo delle Saline, cadde d'improvviso la pioggia, da prima pianamente e dopo in grande abbondanza; così che, non essendovi in torno riparo alcuno, ella n'ebbe le vesti tutte molli. Più in qua la foce dell'Alento portava acqua; ed ella si scalzò per guardare. In vicinanza di Vallelonga la pioggia restò: ed il bosco dei pini rinasceva serenante nell'aria con odor quasi d'incenso. Anna, rendendo grazie nell'animo al Signore, seguì il cammino del litorale ma con più rapidi passi, poiché sentiva penetrarsi nelle ossa l'umidità malsana, e cominciava a battere i denti pel ribrezzo.

A Pescara, ella fu subito presa dalla febbre palustre, e ricoverata per misericordia nella casa di Donna Cristina Basile. Dal letto, udendo i cantici della pompa sacra, e vedendo le cime degli stendardi ondeggiare all'altezza della finestra, ella si mise a dire le preghiere e a invocare la guarigione. Quando passò la Vergine, ella scorse soltanto la corona gemmata, e fece atto di mettersi in ginocchio su i guanciali per adorare.

Dopo tre settimane guarì; e, avendole Donna Cristina offerto di rimanere, ella rimase in qualità di domestica. Ebbe allora una piccola stanza guardante sul cortile. Le pareti erano imbiancate di calce; un vecchio paravento coperto di figure profane chiudeva un angolo; e fra i travicelli del soffitto molti ragni tendevano in pace le tele laboriose. Sotto la finestra sporgeva un tetto breve, e più giù s'apriva il cortile pieno di volatili mansueti. Sul tetto vegetava, da un mucchio di terra chiuso fra cinque tegole, una pianta di tabacco. Il sole vi s'indugiava dalle prime ore antimeridiane alle prime ore del pomeriggio. Ogni estate la pianta dava fiori.

Anna, nella nuova vita, nella nuova casa, a poco a poco si sentì sollevare e rivivere. La sua naturale inclinazione all'ordine si dispiegò. Ella attendeva a tutti i suoi uffici tranquillamente, senza far parole. Anche, in lei la credenza nelle cose soprannaturali ingigantì. Due o tre leggende s'erano per antico formate su due o tre luoghi della casa Basile, e di generazione in generazione si tramandavano. Nella camera gialla del secondo piano abbandonato viveva l'anima di Donna Isabella. In un ricettacolo ingombro, dove una scala discendeva a gomito sino a una porta che non s'apriva da tempo, viveva l'anima di Don Samuele. Quei due nomi esercitavano un singolar fascino su i nuovi abitatori, e diffondevano per tutto il vecchio edificio una specie di solennità conventuale. Come poi il cortile interno era circondato di molti tetti, i gatti su la loggia si riunivano in conciliaboli e miagolavano con una dolcezza misteriosa, chiedendo ad Anna gli avanzi del pasto familiare.

Nel marzo del 1853 il marito di Donna Cristina morì d'una malattia urinaria, dopo lunghe settimane di spasimi. Egli era un uomo timorato di Dio, casalingo e caritatevole; era capo d'una congrega di possidenti religiosi; leggeva le opere dei teologi, e sapeva sonare sul gravicembalo alcune semplici arie di antichi maestri napolitani. Quando venne il viatico, magnifico per numero di ministri e per ricchezza di arnesi, Anna s'inginocchiò su la porta, e si mise a pregare ad alta voce. La stanza si empì d'un vapor d'incenso, in mezzo a cui il ciborio raggiava e raggiavano i turiboli, oscillando come lampade accese; si udirono singhiozzi; poi le voci dei ministri, raccomandando l'anima all'Altissimo, si sollevarono. Anna, rapita dalla solennità di quel sacramento, perdé ogni orrore della morte, e da allora pensò che la morte dei cristiani fosse un trapasso dolce e gaudioso.

Donna Cristina tenne chiuse tutte le finestre della casa durante un mese intero. Continuava a piangere il marito nell'ora del pranzo e nell'ora della cena; faceva in nome di lui le elemosine ai mendicanti; e, più volte nel giorno, con una coda di volpe levava la polvere dal gravicembalo come da una reliquia, emettendo sospiri. Ella era una donna di quarant'anni, tendente alla pinguedine, ancóra fresca nelle sue forme che la sterilità aveva conservate. E poiché ereditava dal defunto una dovizia considerevole, i cinque più maturi celibi del paese cominciarono a tenderle insidie e ad allettarla alle nuove nozze con arti lusingatrici. I campioni furono: Don Ignazio Cespa, persona dolcigna, di sesso ambiguo, con una faccia di vecchia pettegola butterata dal vaiuolo e una capellatura impregnata di olii cosmetici, con le dita cariche di anelli e gli orecchi forati da due minuscoli cerchi d'oro; Don Paolo Nervegna, dottor di legge, uomo parlatore e accorto, che aveva le labbra sempre increspate come se masticasse l'erba sardonica e su la fronte una specie di crescimento rossastro innascondibile; Don Fileno d'Amelio, nuovo capo della congrega, uomo pieno d'unzione e di compunzione, un po' calvo, con la fronte sfuggente indietro e l'occhio pecorinamente opaco; Don Pompeo Pepe, uomo giocondo, amante del vino e delle donne e dell'ozio, ubertoso in tutta la corporatura e più nella faccia, sonoro nelle risa e nelle parole; Don Fiore Ussorio, uomo di spiriti pugnaci, gran leggitore di opere politiche e citator trionfante di esempi storici in ogni disputa, pallido d'un pallor terrigno, con una sottil corona di barba intorno agli zigomi e una bocca singolarmente atteggiata in linea obliqua. A costoro si aggiungeva, ausiliare della resistenza di Donna Cristina, l'abate Egidio Cennamele che, volendo trarre l'erede ai benefizi della chiesa, osteggiava con ben coperta astuzia di impedimenti le lusinghe.

La gran contesa, che sarà un giorno narrata dal cronista per diffuso, durò molto tempo ed ebbe molta varietà di vicende. E principal teatro della prima azione fu il cenacolo, sala rettangolare dove su la carta francesca delle pareti erano francescamente rappresentati i fatti di Ulisse naufragante all'isola di Calipso. Quasi tutte le sere i campioni si riunivano intorno all'inclita vedova; e facevano il giuoco della briscola e il giuoco dell'amore alternativamente.

 

 


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