Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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2 - LA VERGINE ANNA

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Per una nativa irresolutezza, Anna differiva continuamente il matrimonio. Dubbii religiosi la tormentavano. Ella aveva sentito dire che soltanto le vergini sarebbero ammesse a far corona in torno alla Madre di Dio, nel Paradiso. Dunque? Doveva ella rinunciare a quella dolcezza celeste per un bene terreno? Un più vivo ardore di divozione allora la invase. In tutte le ore libere ella andava alla chiesa del Rosario; s'inginocchiava innanzi al gran confessionale di quercia, e rimaneva immobile in quell'attitudine di preghiera. La chiesa era semplice e povera; il pavimento era coperto di lapidi mortuarie; una sola lampada di metallo vile ardeva innanzi all'altare. E la donna rimpiangeva nell'animo il fasto della sua basilica, la solennità delle cerimonie, le undici lampade d'argento, i tre altari di marmo prezioso.

Ma nella Settimana Santa del 1857, sorse un grande avvenimento. Tra la Confraternita capitanata da Don Fileno d'Amelio e l'abate Cennamele, coadiuvato dai satelliti parrocchiali, scoppiò la guerra; e ne fu causa un contrasto per la processione di Gesù morto. Don Fileno voleva che la pompa, fornita dai congregati, uscisse dalla chiesa della Confraternita; l'abate voleva che la pompa uscisse dalla chiesa parrocchiale. La guerra attrasse e avviluppò tutti i cittadini e le milizie del Re di Napoli, residenti nel forte. Nacquero tumulti popolari; le vie furono occupate da assembramenti di gente fanatica; pattuglie armigere andarono in volta per impedire i disordini; il conte Arcivescovo di Chieti fu assediato da innumerevoli messi d'ambo le parti; corse molta pecunia per corruzioni; un mormorìo di congiure misteriose si sparse nella città. Focolare degli odii la casa di Donna Cristina Basile. Don Fiore Ussorio sfolgorò per mirabili stratagemmi e per audacie novissime, in quei giorni di lotta. Don Paolo Nervegna ebbe un grave spargimento di bile. Don Ignazio Cespa adoperò in vano tutte le sue blande arti conciliative e i suoi sorrisi melliflui. La vittoria fu contrastata con un accanimento implacabile, fino all'ora rituale della pompa funeraria. Il popolo fremeva nell'aspettazione; il comandante de le milizie, partigiano dell'abbadia, minacciava castighi ai facinorosi della Confraternita. La rivolta stava per irrompere. Quand'ecco giungere su la piazza un soldato a cavallo latore di un messaggio episcopale che dava la vittoria ai congregati.

L'ordine della pompa si dispiegò allora con insolita magnificenza per le vie sparse di fiori. Un coro di cinquanta voci bianche cantò gli inni della Passione; e dieci turiferarii incensarono tutta la città. I baldacchini, gli stendardi, i ceri per la nuova ricchezza empirono gli astanti di meraviglia. L'abate sconfitto non intervenne; ed in sua vece Don Pasquale Carabba, il Gran Coadiutore, vestito dei paramenti badiali, seguì con molta solennità d'incesso il feretro di Gesù.

Anna, nel frangente, aveva fatto voti per la vittoria dell'abate. Ma la suntuosità della cerimonia la abbagliò; una specie di rapimento la invase, allo spettacolo; ed ella sentì gratitudine anche per Don Fiore Ussorio che passava reggendo nel pugno un cero immane. Poi, come l'ultima schiera dei celebranti le giunse dinanzi, ella si mescolò alla turba fanatica degli uomini, delle donne e de' fanciulli; e andò così, quasi senza toccar terra, tenendo sempre gli occhi fissi al serto culminante della Mater dolorosa. In alto, dall'uno all'altro balcone, stavano tesi i drappi signorili consecutivamente; dalle case dei panettieri pendevano rustiche forme d'agnelli materiate di fromento; ad intervalli, nei trivii, nei quadrivii, un braciere acceso spandeva fumo di aròmati.

La processione non passò sotto le finestre dell'abate. Di tratto in tratto una specie di movimento irregolare correva lungo le file, come se la schiera antesignana incontrasse un ostacolo. E n'era causa il contrasto tra il crocifero della Confraternita e il luogotenente delle milizie, i quali ambedue avevano ricevuto il comando di seguire un itinerario diverso. Poiché il luogotenente non poteva usar violenza senza commetter sacrilegio, vinse il crocifero. I congregati esultavano; il comandante generale ardeva d'ira; il popolo s'empiva di curiosità.

Quando la pompa, in vicinanza dell'Arsenale, si rivolse per rientrare nella chiesa di San Giacomo, Anna prese un vicolo obliquo e in pochi passi fu su la porta madre. S'inginocchiò. Giungeva primo verso di lei l'uomo portante il crocifisso gigantesco; seguivano gli stendardieri che tenevano l'altissima asta in equilibrio su la fronte o sul mento, atteggiandosi con dotto giuoco di muscoli. Poi, quasi in mezzo a una nuvola d'incenso, venivano le altre schiere, i cori angelici, gli incappati, le vergini, i signori, il clero, le milizie. Lo spettacolo era grande. Una specie di terrore mistico teneva l'animo della donna.

Si avanzò sul vestibolo, secondo la consuetudine, un accolito munito d'un largo piatto d'argento per ricevere i ceri. Anna guardava. Allora fu che il comandante, spezzando tra i denti aspre parole contro la Confraternita, gittò violentemente il suo cero nel piatto e voltò le spalle con piglio minaccioso. Tutti rimasero allibiti. E nel momentaneo silenzio si udì tintinnare la spada di colui che si allontanava. Solo Don Fiore Ussorio ebbe la temerità di sorridere.

 

 


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