Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'armata d'Italia
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La Nouvelle Revue (15 giugno ’88) reca un molto notevole articolo, scritto da un comandante della Marina francese, sostenitore e seguace dell’Ammiraglio Aube, su lo stato attuale della flotta repubblicana e sulla correlazione di questa con la italiana e la tedesca.

L’articolo, intitolato Le péril maritime, fa singolar contrasto con il celebre libro profetico Rome et Berlin, apparso alcun tempo fa, in cui l’esercito di Francia con una straordinaria facilità di sbarchi e di sorprese ottiene completa vittoria su la gente nostra. E, in proposito, ci pare anche notevole l’articolo dell’onorevole Maldini su La difesa marittima d’Italia (nel fascicolo ultimo della Nuova Antologia), che appunto, in due luoghi ha giuste osservazioni intorno l’ideato attacco della Spezia, noto omai popolarmente sotto il nome di colpo di mano, e intorno l’ideato sbarco di 35.600 uomini a Civitavecchia.

Lo scrittore della Nouvelle Revue, dopo aver passato in rassegna minutamente tutto il materiale della Marina francese, viene a conclusioni sconfortanti e quasi disperate, contro le alte affermazioni dell’Ammiraglio Peyron, il quale nel marzo decorso dichiarò in Senato, al conspetto del ministro consenziente, che l’armata repubblicana era pronta per l’offesa nel Mediterraneo e per la difesa nella Manica e nell’Oceano, terminando il gaio discorso con queste precise parole, tra gli applausi dell’Assemblea giubilante: – Nous pouvons dormir tranquilles!

Anche i legislatori di Francia si lasciano facilmente inebriare dalle parole ed accolgono con grato animo gli inviti al sonno.

Prima di ogni altra cosa, lo scrittore cerca di stabilire con copia di argomenti e di prove la superiorità degli incrociatori rapidi su le corazzate, superiorità riconosciuta non soltanto in Inghilterra e in Germania ma anche oggi in Italia.

Il budget della Marina inglese, ad esempio, per il 1888-89 non prevede la costruzione di nessuna corazzata. E già il più grande costruttore che abbia il mondo, sir William Armstrong, aveva sei anni fa preconizzato la preponderanza del naviglio rapido e leggero su i maggiori bastimenti. – La invulnerabilità delle grandi corazzate è una fandonia. La corazza è impotente contro la esplosione delle torpedini e l’urto dello sperone. La torpedine e lo sperone son le due armi decisive, nella guerra moderna.

Dopo le grandi manovre del 1886 e del 1887 nel Mediterraneo, l’Ammiraglio Aube, vista l’assoluta deficienza della flotta e l’assoluta mancanza delle qualità strategiche oggi essenziali, che sono la rapidità e l’autonomia, ottenne dal Parlamento i crediti necessarii per la costruzione di: tre incrociatori di prima classe; tre di seconda classe; tre di terza classe; otto esploratori; ventiquattro torpediniere. Ma appena l’Aube lasciò il Ministero, il programma fu interrotto; e furono interrotte e abbandonate per sempre altre savie riforme di lui.

Le corazzate concentrate a Tolone, per l’offensiva nel Mediterraneo, sono in numero di quattordici, alle quali è indispensabile aggiungere almeno otto incrociatori, otto navi di scoperta, più una certa quantità di torpediniere d’alto mare. Invece, ad eccezione dello Sfax e del Duguay-Trouin, che sono due buone navi di combattimento, gli incrociatori francesi in riserva sono di legno e raggiungono una velocità massima di quattordici nodi. Cosicché è manifesta la loro impotenza, sia come valore di guerra che come celerità, contro gli incrociatori, gli esploratori e le torpediniere d’Italia, e contro le sette corazzate, che hanno tutte una celerità maggiore.

Le quattordici corazzate francesi, dunque, prenderebbero la offensiva contro quindici corazzate italiane (delle quali sette d’una celerità soverchiante) che avrebbero per centri d’azione due porti come la Spezia e la Maddalena e che potrebbero, anche essendo divise, operare la lor concentrazione in poche ore, protette da sette incrociatori filanti almeno diciassette nodi, da due incrociatori torpedinieri come il Tripoli e il Goito filanti più di venti nodi, e da una torma di più di cento torpediniere almeno, coprenti il litorale da Ventimiglia a Civitavecchia e atte a celarsi nelle molte isole sparse tra la costa italiana e quella della Corsica. Insomma, secondo lo scrittore della Nouvelle Revue, l’armata repubblicana avrebbe contrarii: il teatro dell’azione, – il superior valore, specialmente in celerità, di ciascuna nave, – il numero delle navi.

C’è un mezzo di rimediare in parte alla debolezza della Francia marittima? – chiede lo scrittore. – C’è; e in questo tutti gli uomini di guerra son concordi. Consiste: 1. Nel mettere in istato di difesa i porti della Corsica; 2. Nel trar vantaggio dalla mirabile posizione marittima e militare di Biserta.

La prima parte della terribilissima lotta che appare imminente si svolgerà, senza alcun dubbio, nel Mediterraneo. Appena le ostilità saranno aperte, l’armata francese dovrà:

1. Trasportare in Africa i cinquantamila uomini dell’esercito territoriale destinati a costituire le truppe attive;

2. Portare in patria il xix corpo e la divisione di occupazione della Tunisia, cioè la milizia più agguerrita;

3. Impedire la mobilitazione dell’esercito d’Italia.

È in grado l’armata francese di compiere il triplice officio? – No.

O ella si darà a compiere l’officio del duplice trasporto; e allora nessuna forza impedirà la concentrazione dell’esercito d’Italia su le Alpi e nessuna forza difenderà le coste della Francia. O pure ella si sforzerà di ritardare la mobilitazione delle truppe nemiche, di distruggere la flotta e gli arsenali; e allora il litorale francese rimarrà esposto alle offese delle rapide navi italiane e la mobilitazione stessa francese correrà gravissimi pericoli.

Lo scrittore esamina partitamente le nostre opere di fortificazione su le coste e le nostre principali posizioni strategiche, concludendo con troppa benignità che l’Italia ha risoluto il problema della difesa con il concorso delle forze di terra e delle forze di mare dirette allo stesso fine; mentre l’onorevole Maldini afferma, per contro, che «il punto debole della nostra difesa marittima sta nelle fortificazioni del litorale» e che, essendo il litorale molto esteso e non avendo noi certo abbondanza di fortificazioni litoranee, è «indispensabile supplire a quella deficienza con i mezzi della difesa ravvicinata».

Ad ogni modo, la prepotenza vera della nostra squadra navale è nella celerità. La meno rapida delle nostre sette corazzate migliori fila quindici nodi e mezzo; ed è il Duilio. Il Dandolo fila quindici nodi, sei; l’Andrea Doria, sedici nodi; il Francesco Morosini, sedici nodi; la Lepanto, diciassette nodi; l’Italia, diciassette nodi, cinque. I nostri incrociatori sul tipo Tripoli filano ventitre nodi. Le nostre torpediniere d’alto mare filano ventun nodi. La squadra può dunque restar compatta, con una velocità comune di quindici nodi e mezzo, a cui non giunge alcuna corazzata francese.

Quindi la divisione corazzata della Maddalena è assolutamente padrona d’imporre, di accettare o di rifiutar battaglia. Può, inoltre, correre tutto il Mediterraneo, devastare le coste nemiche da Port-Vandres a Nizza, da Orano a Tunisi senza pericolo.

Su questo punto batte fortemente lo scrittore della Nouvelle Revue; e per dimostrar meglio la verità della cosa ricorre a due ipotesi probabili in tempo di guerra, due ipotesi che si ricongiungono ai tre suesposti offici che l’armata francese dovrebbe compiere all’apertura delle ostilità. Ambedue le ipotesi sono favorevolissime all’Italia.

«Ma se la Corsica fosse in istato di difesa e se Biserta fosse utilizzatascrive il comandante ignoto – la scena d’improvviso cambierebbe, a vantaggio della Francia. La Corsica vale la Sardegna e Biserta è la vera chiave del Mediterraneo

L’Ammiraglio Aube aveva provveduto a munire i porti còrsi ed aveva presentato un piano completo di lavori che dovean mutare Biserta in un grande arsenale indispensabile alla sicurtà della Francia nel Mediterraneo. Il dispendio previsto era di soli undici milioni.

Ma tanto la difesa della Corsica quanto la trasformazione di Biserta furono interrotte; e quest’ultima anche per difficoltà messe innanzi dai gabinetti esteri. Cosicché le péril maritime per la repubblica è pur sempre grave.

Noi però dalla debolezza del nostro probabile nemico non dobbiamo in nessun modo trarre argomento ai sonni. Il prestigio della Marina francese sta nella inesauribile virtù morale, ossia nelle lunghe tradizioni, nella scienza, nel coraggio, nella ferma volontà di vincere; e la inferiorità nel naviglio è compensata dalla superior forza numerica degli equipaggi. Noi non ci stancheremo mai di ripetere che la salute della nostra armata sta nell’aumento e nella epurazione appunto degli equipaggi. Bisogna provvedere, finché è tempo.

Non è mai soverchiasecondo la sentenza d’un soldato – non è mai soverchia la sollecitudine a conquistare quella parte del destino che è nelle nostre mani.


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