Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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2 - LA VERGINE ANNA

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Così alla figlia di Luca fu aperta la vera strada del Paradiso. E il giro del tempo per lei non fu determinato se non dalle ricorrenze ecclesiastiche. Quando il fiume rientrò nell'alveo, uscirono per ordine consecutivo di giorni molte processioni nella città e nelle campagne. Ella le seguì tutte, insieme con il popolo, cantando il Te Deum. Le vigne in torno erano devastate; il terreno era molle e l'aria pregna di vapori biondi, singolarmente luminosa, come nelle primavere palustri.

Poi venne la festa d'Ognissanti; poi, la solennità dei Morti. Grandi messe furono celebrate in suffragio delle vittime dell'alluvione. Nel Natale Anna volle fare il presepe; comprò un Bambino di cera, Maria, San Giuseppe, il bove, l'asino, i re Magi e i pastori. Accompagnata dalla figlia del sagrestano, ella andò per i fossati della via Salaria a cercare il musco. Sotto la vitrea serenità iemale i latifondi riposavano pingui di limo; la fattoria d'Albarosa si scorgeva sul colle tra gli olivi; nessuna voce turbava il silenzio. Anna, come scopriva il musco, si chinava e con un coltello tagliava la zolla. Al contatto delle fredde erbe le sue mani divenivano lievemente violacee. Di tratto in tratto, alla vista di una zolla più verde, le sfuggiva una esclamazione di contentezza. Quando il canestro fu pieno, ella sedette sul ciglio del fossato, con la fanciulla. I suoi occhi salirono pel sentiero dell'oliveto, lentamente, e si fermarono alle mura bianche della fattoria che pareva un edifizio claustrale. Allora ella chinò la fronte, assalita da un pensiero. Poi d'un tratto si volse alla compagna. - Non aveva mai veduto macinare le olive? - E cominciò a figurar l'opera delle macine con molta prolissità di parole; e, come parlava, a poco a poco le salivano dall'animo altri ricordi, le venivano su la bocca spontaneamente a uno a uno, e le passavano nella voce con un piccolo tremito.

Quella fu l'ultima debolezza. Nell'aprile del 1858, poco dopo la Pasqua maggiore, ella infermò. Stette nel letto quasi durante un mese, tormentata dall'infiammazione polmonare. Donna Cristina veniva la mattina e la sera nella stanza a visitarla. Una vecchia fantesca, che faceva pubblica professione d'assistere i malati, le somministrava i medicamenti. Poi la testuggine le rallegrò i giorni della convalescenza. E come l'animale era estenuato dal digiuno, ed era tutto aridamente pelloso, Anna vedendosi macilente, e sentendosi anch'essa affievolita, provava quella specie di appagamento interiore che noi proviamo quando una stessa sofferenza ci accomuna alla persona diletta. Un tepore molle saliva dagli émbrici coperti di licheni, verso i convalescenti; nel cortile i galli cantavano; e una mattina due rondini entrarono d'improvviso, batterano l'ali in torna alla stanza e fuggirono.

Quando Anna tornò la prima volta nella chiesa, dopo la guarigione, era la Pasqua delle rose. Ella, nell'entrare, aspirò il profumo dell'incenso cupidamente. Camminò piano, lungo la navata, per ritrovare il posto dove soleva prima inginocchiarsi; e si sentì prendere da una sùbita gioia, quando scorse finalmente tra le lapidi mortuarie quella che portava nel mezzo un bassorilievo tutto consunto. Vi piegò i ginocchi sopra, e si mise a pregare. La gente aumentava. A un certo punto della cerimonia due accoliti scesero dal coro con due bacini d'argento colmi di rose, e cominciarono a spargere i fiori su le teste dei prostrati, mentre l'organo sonava un inno giocondo. Anna era rimasta china, in una specie di estasi che le davano la beatitudine dal misterio celebrato e il senso vagamente voluttuoso della guarigione. Come alcune rose vennero a caderle su la persona, ella ne ebbe un fremito lungo. E la povera donna nulla aveva provato nella sua vita di più dolce che quel fremito di delizia mistica e il susseguito languore.

La Pasqua rosata rimase perciò la festività prediletta di Anna, e ritornò periodicamente senza alcun episodio notevole. Nel 1860 la città fu turbata da gravi agitazioni. Si udivano spesso nella notte i rulli dei tamburi, gli allarmi delle sentinelle, i colpi della moschetteria. Nella casa di Donna Cristina si manifestò un più vivo fervore di azione tra i cinque proci. Anna non si sbigottì; ma visse in un raccoglimento profondo, non prendendo conoscenza degli avvenimenti pubblici né di quelli domestici, adempiendo ai suoi uffici con un'esattezza macchinale.

Nel mese di settembre la fortezza di Pescara fu evacuata; le milizie borboniche si sbandarono, gittando armi e bagagli nelle acque del fiume; stuoli di cittadini corsero le vie con liberali esclamazioni di gioia. Anna, come seppe che l'abate Cennamele era fuggito precipitosamente, pensò che i nemici della Chiesa di Dio avessero ottenuto il trionfo; e n'ebbe molto dolore.

Dopo, la sua vita si svolse in pace, lungo tempo. Lo scudo della testuggine crebbe in latitudine e divenne più opaco; la pianta del tabacco annualmente sorse, fiorì e cadde; le sagge rondini in ogni autunno partirono per la terra dei Faraoni. Nel 1865 alfine la gran contesa dei proci terminò con la vittoria di Don Fileno d'Amelio. Le nozze si celebrarono nel mese di marzo, con solenne giocondità di conviti. E vennero allora ad ammannire vivande preziose due padri cappuccini, Fra Vittorio e Fra Mansueto.

Erano costoro i due che di tutta la compagnia rimanevano, dopo la soppressione, a custodire il cenobio. Fra Vittorio era un sessagenario invermigliato fortificato e letificato dal succo dell'uva. Una piccola benda verde gli copriva l'infermità dell'occhio destro, e il sinistro gli scintillava pieno di vivezza penetrante. Egli esercitava fin dalla gioventù l'arte farmaceutica; e, come aveva pratica molta di cucina, i signori solevano chiamarlo in occasione di festeggiamenti. Nell'opera aveva gesti rudi che gli scoprivano fuor delle ampie maniche le braccia villose; la sua barba si moveva tutta ad ogni moto della bocca; la sua voce si frangeva in stridori. Fra Mansueto in vece era un vecchio macilente, con una testa caprina da cui pendeva una barbicola candida, con due occhi giallognoli pieni di sommissione. Egli coltivava l'orto, e questuando portava l'erbe mangerecce per le case. Nell'aiutare il compagno prendeva attitudini modeste, zoppicava da un piede; parlava nel molle idioma patrio di Ortona, e, forse in memoria della leggenda di San Tommaso, esclamava: - Pe' li Turchi! - ad ogni momento, lisciandosi con una mano il cranio polito.

Anna attendeva a porgere i piatti, gli arnesi, i vasellami di rame. Le pareva ora che la cucina assumesse una sorta di solennità sacra per la presenza dei frati. Ella restava intenta a guardare tutti gli atti di Fra Vittorio, presa da quella trepidazione che le persone semplici provano in conspetto degli uomini dotati di qualche virtù superiore. Ammirava ella in ispecie il gesto infallibile con cui il gran cappuccino spargeva su gli intingoli certe sue droghe segrete, certi suoi aromi particolari. Ma l'umiltà, la mitezza, la modesta arguzia di Fra Mansueto a poco a poco la conquistarono. E i legami della comune patria e quelli più sensibili del comune idioma strinsero l'una e l'altro d'amicizia.

Come essi conversavano, i ricordi del passato pullulavano nelle loro parole. Fra Mansueto aveva conosciuto Luca Minella e si trovava nella basilica quando accadde la morte di Francesca Nobile tra i pellegrini. - Pe' li Turchi! - Egli aveva anzi dato aiuto a trasportare il cadavere fino alle case di Porta Caldara; e si ricordava che la morta aveva addosso una veste di seta gialla e tante collane d'oro...

Anna divenne triste. Nella sua memoria il fatto fino a quel momento era rimasto confuso, vago, quasi incerto, attenuato dal lunghissimo stupore inerte che aveva seguito i primi accessi del mal caduco. Ma quando Fra Mansueto disse che la morta stava in Paradiso, perché chi muore per causa di religione va fra i santi, Anna provò una dolcezza indicibile e si sentì d'un tratto crescere nell'animo una immensa adorazione per la santità della madre.

Allora, per rammentare i luoghi del paese nativo, ella si mise a discorrere su la basilica dell'Apostolo, minutamente, determinando le forme degli altari, la positura delle cappelle, il numero degli arredi, le figurazioni della cupola, le attitudini delle imagini, le divisioni del pavimento, i colori delle vetrate. Fra Mansueto la secondava con benignità; e, poiché egli era stato ad Ortona alcuni mesi innanzi, raccontò le nuove cose vedute. - L'Arcivescovo di Orsogna aveva donato alla basilica un ciborio d'oro con incrostature di pietre preziose. La Confraternita del SS. Sacramento aveva rinnovato tutti i legnami e i corami degli stalli. Donna Blandina Onofrii aveva fornita una intera muta di parati consistente in pianete dalmatiche stole piviali cotte.

Anna ascoltava avidamente; e il desiderio di vedere le nuove cose e di riveder le antiche cominciò a tormentarla. Ella, quando il cappuccino tacque, si rivolse a lui con un'aria tra di letizia e di timidezza. - La festa di maggio si avvicinava. Se andassero?

 

 


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