Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
Lettura del testo

2 - LA VERGINE ANNA

-13-

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

-13-

 

Alle calende di maggio la donna, avuta licenza da Donna Cristina, fece gli apparecchi. Inquietudine le nacque nell'animo per la testuggine. - Doveva lasciarla? o portarla seco? - Stette lungamente in forse; e infine deliberò di portarla, per sicurezza. La pose dentro un canestro, tra i panni suoi e le scatole di confetture che Donna Cristina inviava a Donna Veronica Monteferrante, abadessa del monastero di Santa Caterina.

Su l'alba Anna e Fra Mansueto si misero in cammino. Anna aveva in principio il passo spedito, l'aspetto gaio: i capelli, già quasi tutti canuti, le si piegavano lucidi sotto il fazzoletto. Il frate zoppicava reggendosi a una mazza, e le bisacce vuote gli penzolavano dalle spalle. Come essi giunsero al bosco dei pini, fecero la prima sosta.

Il bosco, al mattino di maggio, ondeggiava immerso nel suo profumo natale, voluttuosamente, tra il sereno del cielo e il sereno del mare. I tronchi gemevano la ragia. I merli fischiavano. Tutte le fonti della vita parevano aperte su la trasfigurazione della terra.

Anna sedette sopra l'erba; offerse al cappuccino pane e frutta; e si mise a discorrere della festività, ad intervalli, mangiando. La testuggine tentava con le zampe anteriori l'orlo del canestro, e la sua timida testa serpigna sporgeva e si ritraeva negli sforzi. Poi che Anna l'aiutò a discendere, la bestia prese ad avanzare sul musco verso un cespuglio di mirto, con minor lentezza, forse sentendo in sé levarsi confusamente la gioia della primitiva libertà. E il suo scudo tra il verde pareva più bello.

Allora Fra Mansueto fece alcune riflessioni morali e lodò la Provvidenza che alla testuggine una casa e le il sonno durante la stagione dell'inverno. Anna raccontò alcuni fatti che dimostravano nella testuggine un gran candore e una gran rettitudine. Poi soggiunse: « Che penserà? » E dopo un poco: « Gli animali che penseranno? »

Il frate non rispose. Ambedue rimasero perplessi. Scendeva giù per la corteccia di un pino una fila di formiche e si dilungava pel terreno: ciascuna formica trascinava un frammento di cibo e tutta l'innumerevole famiglia compiva il lavoro con ordine diligente. Anna guardava, e le si svegliavano nella mente le credenze ingenue dell'infanzia. Ella parlò di abitazioni meravigliose che le formiche scavano sotto la terra. Il frate disse, con accento di fede intensa: «Dio sia lodato! » E ambedue rimasero cogitabondi, sotto i verdi alberi, adorando nel loro cuore Iddio.

Nella prima ora del pomeriggio arrivarono al paese di Ortona. Anna batté alla porta del monastero e chiese di vedere l'abadessa. All'entrare si presentava un piccolo cortile con nel mezzo una cisterna di pietra bianca e nera. Il parlatorio era una stanza bassa, con poche sedie intorno: due pareti erano occupate dalle grate, le altre due da un crocefisso e da imagini. Anna fu sùbito presa da un senso di venerazione per la pace solenne che regnava in quel luogo. Quando la madre Veronica apparve d'improvviso dietro le grate, alta e severa nell'abito monastico, ella provò un turbamento indicibile come dinanzi all'apparizione di una forma soprannaturale. Poi, rianimata dal buon sorriso dell'abadessa, ella compì il messaggio in brevi parole; depose nel cavo della ruota le scatole, ed attese. La madre Veronica le si rivolse con benignità, guardandola da que' suoi belli occhi lionati; le donò un'effigie della Vergine; nel licenziarla le tese la mano signorile pel bacio, a traverso la grata, e disparve.

Anna uscì, trepidante. Mentre passava il vestibolo, le giunse un coro di litanie, un canto che veniva forse da una cappella sotterranea, ugualissimo e dolce. Mentre passava il cortile, vide a sinistra in cima al muro sporgere un ramo carico di melarance. E, come pose il piede su la via, le parve di aver lasciato dietro di sé un giardino di beatitudine.

Allora si diresse verso la strada Orientale per cercare i parenti. Su la porta della vecchia casa una donna sconosciuta stava appoggiata allo stipite. Anna le si avvicinò timidamente e le chiese novelle della famiglia di Francesca Nobile. La donna l'interruppe: - Perché? Perché? Che voleva? - con una voce dura e uno sguardo investigante. Poi quando Anna si palesò, ella le permise di entrare.

I parenti erano quasi tutti o morti o emigrati. Restava nella casa un vecchio infermo, zi' Mingo, che aveva sposato in seconde nozze la figlia di Sblendore e viveva con lei quasi in miseria. Il vecchio da prima non riconobbe Anna. Egli stava seduto su un'alta sedia ecclesiastica di cui la stoffa rossastra pendeva a brandelli: le sue mani posavano su i braccioli, contorte ed enormi per la mostruosità della chiragra; i suoi piedi con un moto ritmico percotevano il terreno; un continuo tremore paralitico gli agitava i muscoli del collo, i gomiti, le ginocchia. Ed egli guardò Anna, tenendo a fatica dischiuse le palpebre infiammate. Finalmente si risovvenne.

Come Anna andava esponendo il proprio stato, la figlia di Sblendore odorando il denaro cominciava a concepire nell'animo speranze di usurpazione e per virtù delle speranze diveniva in volto più benigna. Sùbito che Anna terminò, ella le offerse l'ospitalità per la notte; le prese il canestro dei panni e lo ripose; promise di aver cura della testuggine; poi fece alcune querele compassionevoli su la infermità del vecchio e su la miseria della casa, non senza lacrime. Ed Anna uscì, con l'animo pieno di riconoscenza e di misericordia; risalì per la costa, verso lo scampanìo della basilica, provando un'ansia crescente nell'appressarsi.

In torno al palazzo Farnese il popolo rigurgitava ondoso; e quella gran reliquia feudale sovrastava ornata di paramenti, magnificata dal sole. Anna passò in mezzo alla folla, lungo i banchi degli argentarii artefici di arredi sacri e di oggetti votivi. A tutto quel candido scintillare di forme liturgiche il cuore le si dilatava per allegrezza; ed ella si faceva il segno della croce dinanzi a ogni banco come dinanzi a un altare. Quando giunse alla porta della basilica e intravide la luminaria e traudì il cantico del rito, ella non più contenne la veemenza della gioia; si avanzò fin verso il pulpito, con passi quasi vacillanti. Le ginocchia le si piegarono: le lacrime le sgorgarono dagli occhi allucinati. Ella rimase , in contemplazione dei candelabri, dell'ostensorio, di tutte le cose che erano su l'altare, con la testa vacua, poiché dalla mattina non aveva più mangiato. E le prendeva le vene una debolezza immensa; l'anima le veniva meno in una specie di annientamento.

Sopra di lei, lungo la nave centrale le lampade di vetro componevano una triplice corona di fuochi. In fondo, quattro massicci tronchi di cera fiammeggiavano ai lati del tabernacolo.

 

 


«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL