Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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3 - LA MORTE DEL DUCA D'OFENA

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3 - LA MORTE DEL DUCA D'OFENA

 

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Quando giunse di lontano il primo clamor confuso della ribellione, Don Filippo Cassàura aprì subitamente le palpebre che per solito gli pesavano su gli occhi, infiammate agli orli e arrovesciate come quelle de' piloti che navigano per mari ventosi.

- Hai sentito? - chiese al Mazzagrogna che gli stava da presso. E il tremito della voce tradiva lo sbigottimento interiore.

Rispose il maggiordomo, sorridendo:

- Non abbiate paura, Eccellenza. Oggi è San Pietro. Cantano i mietitori.

Il vecchio stette un poco in ascolto, poggiato sul gomito, con lo sguardo ai balconi. Le cortine ondeggiavano ai soffi caldi del libeccio. Le rondini a stormi passavano e ripassavano, rapide come frecce, nell'aria ardentissima. Tutti i tetti delle case sottostanti fiammeggiavano, quali rossastri, quali grigi. Oltre i tetti si distendeva la campagna immensa ed opulenta, quasi tutta d'oro in tempo di mietitura.

Di nuovo chiese il vecchio:

- Ma, Giovanni, hai sentito?

Giungevano, infatti, clamori che non parevano di gioia. Il vento, rafforzandoli a intervalli e spegnendoli o mescendoli al suo fischio, li rendeva più singolari.

- Non ci badate, Eccellenza - rispose il Mazzagrogna. - Gli orecchi v'ingannano. State quieto.

Ed egli si levò per andare verso uno dei balconi.

Era un uomo tarchiato, con le gambe in arco, con le mani enormi, coperte di peli sul dorso, bestiali. Aveva gli occhi un poco obliqui, biancastri come quelli degli albini, tutta la faccia sparsa di lentiggini, pochi capelli rossi su le tempie, e l'occipite occupato da certe escrescenze dure e scure in forma di castagne.

Rimase in piedi alquanto, fra le due cortine che si gonfiavano come due vele, a investigare il piano sottoposto. Un alto polverìo levavasi dalla strada della Fara, come per passaggio di greggi numerose; e i folti nugoli, gonfiati dal vento, crescevano in forma di trombe. Di tratto in tratto, anche, i nugoli balenavano come se chiudessero gente armata.

- Ebbene? - chiese Don Filippo, inquieto.

- Nulla - rispose il Mazzagrogna; ma aveva le sopracciglia corrugate profondamente.

Di nuovo, il soffio impetuoso portò un tumulto di grida lontane. Una cortina, sforzata dall'urto, si mise a sbattere e a garrire nell'aria come un gonfalone spiegato. Una porta si chiuse d'improvviso, con violenza e con fragore. I vetri ne tremarono. Le carte, accumulate sopra una tavola, si sparpagliarono per tutta la stanza.

- Chiudi! Chiudi! - gridò il vecchio, con un moto di terrore. - Mio figlio dov'è?

Egli ansava, sul letto, affogato dalla pinguedine, incapace di levarsi poiché aveva tutta la inferior parte del corpo impedita dalla paralisìa. Un continuo tremor paralitico gli agitava i muscoli del collo, i gomiti, le ginocchia. Le sue mani posavano sul lenzuolo, contorte e nodose come le radiche dei vecchi olivi. Un sudore abondante gli stillava dalla fronte e dal cranio calvo, rigandogli la larga faccia che era d'un color roseo disfatto, sottilissimamente venato di vermiglio come la milza dei buoi.

- Diavolo! - mormorò fra i denti il Mazzagrogna, mentre chiudeva le imposte a viva forza. - Fanno davvero?

Ora si scorgeva su la strada della Fara, alle prime case, una moltitudine d'uomini agitata e ondeggiante, come un rigurgito di flutti, che dava indizio di un'altra maggior moltitudine non visibile, nascosta dalla linea dei tetti e dalle querci di San Pio. La legione ausiliaria delle campagne veniva dunque ad ingrossar la ribellione. A poco a poco la folla diminuiva, internandosi nelle vie del paese e scomparendo come un popolo di formiche nei labirinti d'un formicaio. Le grida, soffocate dalle mura o ripercosse, giungevano ora come un rombo continuo, indistinte. A volte mancavano; e allora si udiva il grande stormire degli elci dinanzi al palazzo che pareva più solo.

- Mio figlio dov'è? - chiese di nuovo il vecchio, con una voce che lo sbigottimento rendeva più stridula. - Chiamalo! Lo voglio vedere.

Tremava forte, sul letto, non soltanto perché egli era paralitico, ma perché aveva paura. Ai primi moti sediziosi del giorno innanzi, agli urli d'un centinaio di giovinastri venuti a schiamazzare sotto i balconi contro la più recente angheria del duca d'Ofena, egli era stato preso da una così pazza paura che aveva pianto come una femminetta ed aveva passata la notte invocando i santi del Paradiso. Il pensiero della morte o del pericolo dava un indicibile terrore a quel vecchio paralitico, già semispento, in cui gli ultimi guizzi della vita eran si dolorosi. Egli non voleva morire.

- Luigi! Luigi! - si mise a gridare, nell'ambascia, chiamando il figliuolo.

Tutto il palazzo era pieno dell'acuto tintinnìo de' vetri all'urto del vento. Di tratto in tratto si udiva il rimbombo d'un uscio sbattuto, o suono di passi precipitati e di voci brevi.

- Luigi!

 

 


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