Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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3 - LA MORTE DEL DUCA D'OFENA

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Il duca accorse. Egli era un poco pallido e concitato, se bene cercasse di dominarsi. Alto di statura e robusto, aveva la barba ancor tutta nera su le mascelle assai grosse; la bocca tumida e imperiosa, piena d'un soffio veemente; gli occhi torbidi e voraci; il naso grande, palpitante, sparso di rossore.

- Ebbene? - chiese Don Filippo, ansando con tal rantolo che pareva dovesse soffocarlo.

- Non temete, padre; ci sono io - rispose il duca, appressandosi al letto, cercando di sorridere.

Il Mazzagrogna stava in piedi, dinanzi a uno dei balconi, guardando di fuori, intento. Non giungevano più grida; non si vedeva più alcuno. Il sole declinava dal cielo puro, simile a un cerchio roseo di fiamma, che più s'ingrandiva e più s'accendeva nel raggiungere le cime dei colli. Tutta la campagna pareva ardere; e pareva che il garbino fosse l'alito dell'incendio. Il primo quarto della luna saliva di tra le macchie di Lisci. Poggio Rivelli, Ricciano, Rocca di Forca, in lontananza, mandavano lampi dai vetri delle finestre e a tratti suono di campane. Qualche fuoco incominciava a brillare qua e . Il calore toglieva il respiro.

- Questo - disse il duca d'Ofena con quella sua voce rauca e dura - ci viene dagli Scioli. Ma...

E fece un gran gesto di minaccia. Poi s'accostò al Mazzagrogna.

Egli era inquieto per Carletto Grua che non si vedeva ancóra. Passeggiò in lungo e in largo nella stanza, con un passo pesante. Staccò da una panoplia due lunghe pistole d'arcione e le esaminò attentamente. Il padre seguiva ogni atto di lui con occhi dilatati; ansava come un giumento in agonia; di tratto in tratto scoteva con le mani deformi il lenzuolo, per aver refrigerio. Domandò due o tre volte al Mazzagrogna:

- Che si vede?

D'improvviso il Mazzagrogna esclamò:

- Ecco Carletto che vien su correndo, con Gennaro.

Si udirono, in fatti, colpi furiosi alla porta grande. Poco dopo, Carletto e il servo entrarono nella stanza, pallidi, sbigottiti, macchiati di sangue, coperti di polvere.

Il duca, vedendo Carletto, gettò un grido. Lo prese fra le braccia, si mise a tastarlo in tutto il corpo per trovare la ferita.

- Che t'hanno fatto? Di', che t'hanno fatto?

Il giovine piangeva, come una donna.

- Qui - disse fra i singhiozzi. Abbassò la testa e mostrò su la nuca alcune ciocche di capelli attaccate insieme dal sangue rappreso.

Il duca mise le dita fra i capelli delicatamente, per iscoprir la ferita. Egli amava d'un tristo amore Carletto Grua; ed aveva per lui le cure d'un amante.

- Ti fa dolore? - gli chiese.

Il giovine singhiozzò più forte. Egli era esile come una fanciulla; aveva un volto femineo, a pena a pena ombrato d'una lanugine bionda; i capelli alquanto lunghi, bellissima la bocca, e la voce acuta come quella degli evirati. Era un orfano, figliuolo d'un confettiere di Benevento. Faceva da valletto al duca.

- Ora verranno! - disse, con un tremito per tutta la persona, volgendo gli occhi pieni di lacrime al balcone d'onde ora di nuovo giungevano i clamori, più alti e più terribili.

Il servo, che aveva una ferita profonda su la spalla destra e tutto il braccio intriso di sangue fino al gomito, raccontava balbettando come ambedue fossero stati rincorsi dalla folla inferocita; quando il Mazzagrogna, ch'era rimasto sempre a spiare, gridò:

- Eccoli! Vengono al palazzo. Sono armati.

Don Luigi, lasciando Carletto corse a vedere.

 

 


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