Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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3 - LA MORTE DEL DUCA D'OFENA

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Un urlo immenso l'accolse. Cinque, dieci, venti fasci di canne ardenti vennero sotto a radunarsi. Il chiarore illuminava i volti animati dalla bramosìa della strage, l'acciaro degli schioppi, i ferri delle scuri. I portatori di fiaccole avevano tutta la faccia cospersa di farina, per difendersi dalle faville; e tra quel bianco i loro occhi sanguigni brillavano singolarmente. Il fumo nero saliva nell'aria, disperdendosi rapido. Tutte le fiamme si allungavano da una banda, spinte dal vento, sibilanti, come capellature infernali. Le canne più sottili e più secche si accendevano, si torcevano, rosseggiavano, si spezzavano, scoppiettavano come razzi, in un attimo. Ed era una vista allegra.

- Mazzagrogna! Mazzagrogna! A morte il ruffiano! A morte il guercio! - gridavano tutti, accalcandosi per iscagliar più da vicino l'insulto.

Il Mazzagrogna stese una mano, come per sedare i clamori; raccolse tutta la potenza vocale; e incominciò col nome del Re, quasi promulgasse una legge, per incutere al popolo il rispetto.

- In nome di S. M. Ferdinando II, per la grazia di Dio, Re delle Due Sicilie, di Gerusalemme...

- A morte il ladro!

Due, tre schioppettate risonarono fra le grida; e l'arringatore, colpito al petto e alla fronte, vacillò, agitò in alto le mani e cadde in avanti. Nel cadere, la testa entrò fra l'un ferro e l'altro della ringhiera e penzolò di fuori come una zucca. Il sangue gocciolava sul terreno sottostante.

Il caso rallegrò il popolo. Lo schiamazzo saliva alle stelle.

Allora i portatori dell'antenna con l'impiccato vennero sotto il balcone e accostarono Vincenzio Murro al maggiordomo. Mentre l'antenna oscillava nell'aria, il popolo stava intento al congiungimento dei due morti, quasi ammutolito. Un poeta improvviso, alludendo all'occhio albino del Mazzagrogna e a quello cisposo del messo, gittò a squarciagola un sospetto:

- Affàccet' a 'ssa fenestre, uòcchie fritte, Ca t'è mmenut' a ccandà 'lu scazzàte.

Un vasto scroscio di risa accolse lo scherno del poeta; e le risa si propagarono di bocca in bocca, come un tuono d'acque cadenti giù pe' sassi d'una china.

Un poeta rivale gridò:

- Vide che ssòrt' ha da ' 'ssu cecàte!

S'affranghe de chiude' l'uòcchie quando se mòre.

Le risa si rinnovellarono.

Un terzo gridò:

- O faccia de cecòria mmàle còtte!

Tenète lu chelòre de la morte!

Altri distici volarono al Mazzagrogna. Una gioia feroce aveva invaso gli animi. La vista e l'odore del sangue inebriavano i più vicini. Tommaso di Beffi e Rocco Furci vennero a contesa di destrezza nel colpire con una sassata il cranio penzoloni dell'ucciso ancor caldo. A ogni colpo il cranio si moveva e dava sangue. La pietra di Rocco Furci alla fine colpì nel mezzo, levando un suono secco. Gli spettatori applaudirono. Ma erano sazii omai del Mazzagrogna.

Di nuovo sorse il grido:

- Cassàura! Cassàura! Il duca! A morte!

Fabrizio e Ferdinandino Scioli s'insinuavano tra la folla ed istigavano i facinorosi. Una terribile sassaiuola si levò contro le finestre del palazzo, fitta come una grandine, mista di schioppettate. I vetri cadevano addosso agli assalitori. Le pietre rimbalzavano. Rimasero feriti non pochi dei circostanti.

Terminati i sassi, consumato il piombo, Ferdinandino Scioli gridò:

- A terra le porte!

E il grido, ripetuto da tante bocche, tolse al duca d'Ofena ogni speranza di salvezza.

 

 


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