Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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4 - LA VERGINE ORSOLA

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4 - LA VERGINE ORSOLA

 

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Il viatico uscì dalla porta della chiesa a mezzogiorno.

Su tutte le strade era la primizia della neve, su tutte le case la neve. Ma in alto grandi isole azzurre apparivano tra le nuvole nevose, si dilatavano sul palazzo di Brina lentamente, s'illuminavano verso la Bandiera. E nell'aria bianca, sul paese bianco appariva ora subitamente il miracolo del sole.

Il viatico s'incamminava alla casa di Orsola dell'Arca. La gente si fermava a veder passare il prete incedente a capo nudo, con la stola violacea, sotto l'ampio ombrello scarlatto, tra le lanterne portate dai clerici accese. La campanella squillava limpidamente accompagnando i Salmi susurrati dal prete. I cani vagabondi si scansavano nei vicoli al passaggio. Mazzanti cessò di ammucchiare la neve all'angolo della piazza e si scoprì la zucca inchinandosi. Si spandeva in quel punto dal forno di Flaiano nell'aria l'odore caldo e sano del pane recente.

Nella casa dell'inferma gli astanti udirono gli squilli, e udirono su per le scale il salire dei vegnenti. La vergine Orsola era sul letto, supina, tenuta dallo stupore della febbre, da una sonnolenza inerte, con la respirazione frequente rotta da i rantoli. Posava sul guanciale la testa quasi nuda di capelli, la faccia d'un colore quasi ceruleo, ove le palpebre erano semichiuse sopra gli occhi vischiosi e le narici parevano annerite dal fumo. Ella faceva con le mani scarne piccoli gesti incerti, vaghi conati di prendere qualche cosa nel vuoto, strani segni improvvisi che davano quasi un senso di terrore a chi stava da presso; e nelle braccia pallide le passavano le contrazioni dei fasci muscolari, i sussulti dei tendini; e a volte un balbettamento inintelligibile le usciva dalle labbra, come se le parole le si impigliassero nella fuliggine della lingua, nel muco tenace delle gengive.

Nella stanza si faceva quel silenzio tragico che suole precedere gli avvenimenti supremi, un silenzio dove il respiro dell'inferma e i gesticolamenti incerti e le irruzioni rauche della tosse aggravavano l'attesa della morte. Dalle finestre aperte entrava l'aria pura ed uscivano le esalazioni della malattia. Un vivo baglior bianco si rifrangeva dalla neve coprente i cornicioni e i capitelli corintii dell'Arco di Portanova; il fiore cristallino dei ghiaccioli scintillava d'iridi all'altezza della stanza. Nell'interno, su le pareti pendevano grandi medaglie sacre d'ottone, imagini di santi. Sotto un vetro una Madonna di Loreto tutta nera il volto il seno le braccia, come un idolo barbarico, luceva nella sua veste adorna di mezzelune d'oro. In un angolo, un piccolo altare candido portava un vecchio crocifisso di madreperla, tra due boccali turchini di Castelli pieni d'erbe aromatiche.

Camilla, la sorella, l'unica parente, presso al letto, pallidissima, tergeva le labbra nerastre e i denti incrostati dell'inferma con un lino umido di aceto. Don Vincenzo Bucci, il medico, seduto, guardava il pomo d'argento della bella mazza, le belle corniole incise ch'egli aveva negli anelli delle dita, aspettando. Teodora La Iece, una tessitrice vicina, stava ritta, in silenzio, tutta intenta nell'atteggiare a dolore la faccia bianca e lentigginosa, gli occhi d'acciaio, la bocca crudele.

- Pax huic domui - disse il prete entrando. Apparve all'uscio Don Gennaro Tierno, lunghissimo e smilzo su piedi enormi, con i movimenti di un bruco che si snodi. Veniva dietro di lui Rosa Catena, una femmina che avea fatto pubblica professione d'impudicizia al suo tempo verde e che ora si salvava l'anima assistendo i moribondi, lavando i cadaveri, vestendoli e accomodandoli nella bara, senza prender mercede.

Nella stanza di Orsola tutti erano in ginocchio, chini la faccia. L'inferma non udiva; una stupefazione intensa le teneva ancóra i sensi. E l'aspersorio si levò su di lei, lucido nell'aria, aspergendo il letto.

- Asperges me, Domine, hyssopo, et mundabor...

Ma Orsola non sentì l'onda purificatrice che la rendeva più bianca della neve innanzi al suo Signore.

Ella stirava davanti a sé con le dita fragili le coperte, aveva un moto tremulo nelle labbra, nella gola il gorgoglio della parola che ella non poteva profferire.

- Exaudi nos, Domine sancte...

Allora uno scoppio di pianto risonò fra le parole latine, e Camilla nascose nella sponda del letto la faccia rigata di lacrime. Il medico s'era accostato e teneva fra le dita inanellate il polso di Orsola. Egli voleva scuoterla, apprestarla a ricevere il Sacramento dalle mani del sacerdote di Gesù Cristo, fare che ella porgesse la lingua all'ostia.

Orsola balbettò, gesticolò ancóra vagamente nel vuoto, mentre la sollevavano su i guanciali. Ella non udiva se non un tintinnìo nei nervi dell'orecchio perturbati, a tratti un gridìo, a tratti una musica. Come fu sollevata, subitamente il rossore livido della faccia si mutò in un pallore di cadavere; la vescica di ghiaccio cadde dalla testa sul lenzuolo.

- Misereatur...

Porse ella finalmente la lingua tremante, coperta d'una crosta mista di muco e di sangue nerastro, dove l'ostia vergine si posò.

- Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi...

Ma ella non ritirò la lingua a quel contatto, perché non aveva conscienza di quel che faceva; lo stupidimento non era rotto dal lume dell'Eucaristia. Camilla guardava con gli occhi rossi pieni di terrore e di dolore quella faccia terrea dove ogni segno di vita mancava a poco a poco, quella bocca aperta che pareva la bocca di uno strangolato. Il prete seguitava, nella solennità del suo ministerio, le preghiere latine lentamente. Tutti gli altri rimanevano genuflessi, sotto il diffuso albore che fuori dalla neve suscitava il meriggio. L'odore del pane caldo salì col vento e fece fremere le papille del naso ai clerici.

- Oremus!...

Agli eccitamenti del medico Orsola richiuse le labbra. La riadagiarono supina; poiché il prete entrava nel sacramento dell'Estrema Unzione. I clerici genuflessi ripetevano sommessamente l'antifona dei sette Salmi penitenziali.

- Ne reminiscaris.

Teodora La Iece metteva di tratto in tratto un singulto soffocato, coperta il volto con le palme, a' piedi del letto. Rosa Catena stava ritta, accanto, con un occhio semichiuso da cui le colava di continuo un liquido giallognolo e con l'altro occhio cieco e bianco per un'albùgine; scorreva un rosario, mormorando. E mentre i Salmi sommessamente dal pavimento si elevavano, su quel mormorìo confuso dominava la formula sacra del prete ungente in croce gli occhi, gli orecchi, le narici, la bocca, le mani dell'inferma inerte.

-...indulgeat tibi Dominus quidquid per gressum deliquisti. Amen.

Fu Camilla che scoperse i piedi della sorella: apparvero tra le coperte due piedi gialli, squamosi, lividi nelle unghie, che al tatto davano un ribrezzo di membra morte. E su quella pelle secca le lacrime caddero, si mescolarono con l'unzione estrema.

- Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison. Pater noster...

L'unta del Signore stava ora immobile, respirando, con gli occhi chiusi dinanzi alla luce, con le ginocchia sollevate e le mani strette fra le cosce, nell'atteggiamento abituale dei tifosi. E il prete, poi ch'ebbe premuto su le labbra di lei per l'ultima volta il crocefisso, fatto il segno della croce alto in mezzo alla stanza con la gran mano, uscì seguito dai clerici. Vagava ancóra nella stanza quell'odore svanito di incenso e di cera che hanno le vesti sacerdotali. Fuori, sotto le finestre, Matteo Puriello martellava le suola, canticchiando.

 

 


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