Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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4 - LA VERGINE ORSOLA

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Orsola rimase inerte, lunga su i mattoni, con nelle vesti, con in tutta la figura lo scompiglio della donna violata.

Ma, quando udì i passi di Camilla nella scala, dal fondo della sua languidezza si levò su un gomito; rapidamente passò le mani su le vesti sconvolte; ritrovò le parole per dire alla sorella che una sùbita mancanza di forze l'aveva fatta cadere nel mezzo della stanza.

Fuori, annottava. Sul paese si spandeva la grande frescura glauca della sera di giugno, originante dall'Adriatico. Voci e risa empivano la piazza; giù pe 'l casamento cantava la gioia sabatina degli abitanti sollevati. Dal secondo pianerottolo Teodora La Iece gridò:

- Comare Camilla, comare Orsola, venite?

Orsola seguì la sorella, senza parlare, senza pensare. Durava fatica a ricordarsi: una specie di ebetudine le teneva ancóra la memoria. Teodora le empiva gli orecchi del suo chiacchierio di femmina maldicente e petulante.

- Sapete, comare, la figlia di Rachela Catena si marita.

- Ah.

- Sapete, piglia Giovannino Speranza, quel rosso che tiene locanda alla Pesceria e ha il mal di San Donato, liberanosdòmine.

- Ah.

- Sapete, comare; Checchina Madrigale se n'è scappata un'altra volta a Francavilla. Voi la conoscete; quella grassa che sta di casa a Gloria, nera, col naso a becco... quella.

Teodora seguitando aveva preso il passo di Orsola. Camilla veniva un poco in dietro, a capo chino, senza badare ai peccati di mormorazione che la lingua della tessitrice commetteva contro il prossimo. Per le vie tutta la gente godeva l'aria; gruppi di donne passavano, in vesti di tela, con braccia nude sino al gomito.

- Comare, guardate Graziella Potavigna che falbalà s'è messo! Guardate Rosa Zazzetta, con un sergente avanti e uno dietro... Ah, voi non sapete?

E qui una storia d'amorazzi piena d'indiscrezioni salaci, susurrata quasi all'orecchio. Per obliare, Orsola si immerse nel pettegolezzo intieramente, con una specie di furia convulsa, non dando a sé stessa il tempo di ripensare, interrogando, eccitando Teodora alla chiacchiera, temendo gli intervalli di silenzio, riempiendoli con sussulti di riso. Ella aveva quasi un godimento amaro a sentire i vituperii degli altri.

- Oh, ecco Don Paolo!

Veniva in contro con la sua bella placidezza Don Paolo Seccia, un ottuagenario ancóra aspro e verde come un ginepro.

- Venite con noi, Don Paolo: usciamo fuori.

Tutti i macelli per la via di qua, di , avevano i loro manzi freschi penzolanti in mezzo alla porta: l'odore della carne bovina si spandeva dalle ventraie aperte e assaliva le nari. Più in su, lunghe file di maccheroni stavano attelate al lume della luna che le guardava dalla cima di un'antenna soperchiante la caserma. Gruppi di soldati si affollavano in torno alle rivenditrici di frutta, vociferando.

- Andiamo alla Bandiera - disse Teodora, dando la precedenza a Don Paolo ed a Camilla.

Orsola passò in mezzo a tutti quei rumori e quegli odori forti, stordita. Cominciava alfine uno sbigottimento vago a sommuoversi dal fondo, a torcerle la bocca nel riso, nelle parole, a impedirle la lingua. Anche certi piccoli tormenti fisici la molestavano e la richiamavano alla realità delle cose. Ella non sapeva più sfuggire a sé stessa: le moriva la voce fra i denti, l'angoscia le serrava la gola, il fantasma del peccato enorme e irrimediabile le si drizzava dinanzi. Ella ora si sentiva morire dalla fatica di reggersi in piedi, di mettere i passi: si sentiva percossa dalla spietata animazione della vita nella strada che è di tutti.

- Dunque, comare mia, quel guercio del marito senza saper nulla di nulla... - diceva Teodora riannodando la maldicenza interrotta.

Andavano per la Bandiera. Il ponte a battelli, su la sinistra, cavalcava il fiume. Dall'altro lato, la mole cupa e grave del bastione si disegnava nel chiarore. I vecchi cannoni di ferro, piantati con la bocca nel terreno, si dilungavano in fila trattenendo le gómene; grandi àncore di ferro ingombravano lo scalo. Nelle tolde, a riva, i marinari sotto le tende mangiavano e fumavano: le tende illuminate contrastavano con un rossore sanguigno l'albore della luna. Intorno alle prore, su l'acqua larghe chiazze come di materia liquefatta fluttuavano lentamente.

-...mandò a chiamare don Nerèo Memma, figuratevi! - seguitava Teodora, implacabile.

- Chi parla del dottor Dulcamara? - fece Don Paolo, a cui era giunto quel nome, ridendo dalla franca bocca ancóra armata di avorii.

Orsola non sentiva più: ella era pallida come la faccia della luna. Da prima, tutta quella gran pace luminosa piovente dal cielo sul fiume e tutte quelle lunghe vene di odore marino corrente pe 'l fresco le avevano dato sollievo; poiché dinanzi a quello spettacolo di dolcezza i fantasmi vagheggiati dell'amore in fondo a lei si risollevavano e le sommità del sentimento al raggio lunare riscintillavano. Fu, sùbito dopo, un tumulto confuso in cui ella udiva battere le arterie con un susurrìo assordante che parve dilatarsi e riempire tutta l'aria d'un tratto. Le mancava sotto i piedi il suolo fermo. Il limite delle acque si confuse, per la vertigine; il fiume invase la strada; acque acque acque si sparsero in torno. Poi, d'un tratto, uno scintillìo di bagliori si accese dentro gli occhi di lei, un tremolìo crescente di fiammelle fatue che rompevano, si intrecciavano, si allontanavano, e si fondevano e perdevano serpentinamente nell'ombra. In quella illuminazione la figura di Marcello compariva e spariva, con una rapidità e una mutabilità di sogno. La vertigine cessò. Orsola riconobbe i riflessi della luna nel fiume placido; continuò a camminare, stupefatta, indebolita, quasi in punto di venir meno.

- Stanca, eh? comare; voi non siete abituata, si sa. Appoggiatevi a me, appoggiatevi - diceva Teodora. - La figlia di Donna Mentina Ussoria, quella più piccola, butterata, stava proprio innanzi alla bottega, sapete, su la piazzetta...

Erano alla caserma dei finanzieri. Grandi mucchi di carrube mandavano un odore forte come di pelli conciate; e la strada seminata di scaglie d'ostriche scricchiolava sotto i passi. Due sciàbiche, presso la riva, facevano pesca d'anguille, in silenzio, con la luna propizia. Ma la sonorità del mare empiva di grandezza il silenzio. Annunziavano la foce gli ondeggiamenti del sale superanti il lieve fiore dell'acqua dolce.

- Torniamo in dietro, belle figliuole - disse Don Paolo, prendendo una carruba dal mucchio vicino.

Orsola si lasciava condurre. Ella durava fatica a rattenere l'ansia del respiro; poiché ora il suo stato con una terribilità incalzante, le si ripresentava dinanzi e schiacciava tutti gli aneliti e i tumulti del sentimento suscitati dalla voluttà della notte lunare. Ella vedeva, nella fissazione del suo pensiero, la figura di Lindoro levarsi e vivere; si sentiva un'altra volta afferrare e palpare da quelle mani aspre, soffocare da quel fiato caldo di vino e di libidine, violare su i mattoni della stanza. Ma in quel momento, pensava, ella non aveva resistito, non aveva gridato, non aveva fatto nessun moto per opporsi; ella aveva soggiaciuto, senza forze, non distinguendo più nulla, non sentendo se non una gran gioia mista di dolore inondarle le fibre. Allora il ribrezzo e il languore si avvicendarono nella sua carne, agghiacciandola, affocandola. Inconsapevole, guardava innanzi a sé, pallida e con gli occhi ingranditi e più neri.

- Sentite come il vino canta! - disse Don Paolo, soffermandosi.

Nelle barche i marinari stavano distesi tra i cordami, in mezzo al fumo del tabacco di Dalmazia, e cantavano di femmine belle, in gran coro.

 

 


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