Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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4 - LA VERGINE ORSOLA

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Camilla, su l'inginocchiatoio, pregò a voce bassa, co 'l capo prostrato, con giunte le mani, lungamente; poi accese la lampada votiva a Maria Vergine, per la notte; piegò poi nel sonno tenendo il dolce cuore di Gesù tra i fiori vizzi del seno. Il suo respiro di dormiente era religioso come se sfiorasse l'ostia sacra su la paténa d'argento. Nella volta le ombre seguivano le oscillazioni della fiammella alimentata dall'olio. I rumori del legno che si dilata e dei tarli che ròdono, le voci misteriose dei vecchi mobili nella calma notturna, rompevano il silenzio.

Orsola stava nello stesso letto, a fianco di Camilla, distesa, senza muoversi, senza chiudere gli occhi, poiché una grande stanchezza insonne le occupava le membra e la vigilanza assidua dell'angoscia le martoriava l'anima tapina. Ella ascoltava il silenzio; spiava sé stessa con una curiosità ansiosa, come per sentire qual mutamento si fosse compiuto nell'essere suo.

A un tratto, Camilla nel sonno cominciò a mormorare parole confuse, frammenti di parole incomprensibili, movendo appena le labbra, mettendo lunghi respiri. La testa di lei, scarna, affilata, scolpita rigidamente dalla penitenza e dal digiuno, ingiallita dal lume della lampada, posava su la bianchezza del guanciale come una effigie mal dorata di santa sopra una raggiera. Piccole ombre violacee segnavano l'interno delle narici, i solchi del collo teso e pieno di corde, le fosse delle gote, le occhiaie d'onde sporgeva grande il globo coperto dalla pelle molle della palpebra. Ella pareva così il cadavere di una martire, dentro cui scendesse lo spirito di Dio. Benché quello dei soliloqui notturni non fosse il primo, Orsola sentì freddo in mezzo ai capelli: un terrore improvviso l'assalì e la oppresse. Ella istintivamente si rannicchiò, cercò di allontanarsi dal corpo della sorella ritraendosi su l'orlo della sponda; stette immobile, sospesa negli intervalli di silenzio, con gli occhi fissi su la bocca della dormiente, provando un sordo sussulto in mezzo al petto se quelle labbra si movevano a profferire nuove parole. Ella non comprendeva; ma qualche cosa di lontanamente profondo e di solenne era in quel mormorìo interrotto, un mistero soprannaturale si levava da quel corpo inerte e inconsapevole che parlava senza udire la propria voce. Nella stanza passava l'alito del sepolcro; per la fantasia sconvolta dell'insonne le ombre oscillanti prendevano forme spaventose e minacciose di spettri; l'aria pareva solcata da romori ignoti. Tutte le cose su cui l'allucinata si rifugiava con lo sguardo, tutte le cose si trasformavano e si animavano ed andavano verso di lei. Allora l'idea del castigo e della pena eterna ancóra una volta le risorse nella conscienza e la incalzò. Ella si abbatté sotto l'incubo del suo peccato, mettendo in croce le braccia sul petto per difendersi dalle minacce dei demonii, tentando pregare con la lingua impedita dal terrore aggrappandosi con un supremo slancio all'àncora del pentimento, all'ultima salvezza. Ella si sentiva perduta, chiedeva misericordia dall'intimo del suo cuore al divino Sposo tradito, a Gesù buono e grande, a Colui che perdona.

La voce di Camilla si esalava in sospiri, si confondeva in un borboglìo tremulo, si spegneva nella respirazione lenta ed eguale, a mano a mano che l'entusiasmo del sogno mistico si andava placando. Le ombre seguitavano ad oscillare. Non ancóra il Crocefisso discendeva dalla parete a raccogliere con le dolcissime braccia la pecorella tornante all'ovile.

 

 


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