Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Le novelle della Pescara
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4 - LA VERGINE ORSOLA

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Non c'era dunque scampo? - Più giorni ancóra ella oscillò nel dubbio, aspettando l'ultima prova. Vertigini la prendevano al levarsi, quando ella metteva a terra i piedi; sfinimenti vaghi la invadevano su la sera, fievolezze in cui il pensiero, la volontà, i ricordi parevano quasi avere la confusione, la sonnolenza fluttuante delle prime ore mattutine. Ella faceva le cose per abitudine, con gesti di sonnambula, stancamente. Nella scuola, se veniva sul vento l'odore del pane caldo dal forno, ella si sentiva morire, sentiva tutte le viscere montarle d'un tratto alla bocca; e un sapore di lisciva le si spandeva nella lingua. Un giorno, mentre un bimbo succhiava una ciliegia, una voglia violenta di quel frutto la fece contorcere su la sedia, impallidire e sudare. Poi, ella, dopo il pasto, tutta amara di nausea, si metteva lunga sul letto, si lasciava occupare dal sopore: il caldo era pesante, le mosche ronzavano, le grida d'un venditore di occhiali passavano sotto la finestra, rauche nel silenzio.

Sfiduciata, ella non cercò più la chiesa: l'incenso anche la ributtava.

Ella non pensò più a Marcello; non lo vide più, non ebbe di lui se non un ricordo incerto, come di un sogno remoto. L'ansia presente la teneva tutta.

Lindoro saliva a portar acqua come prima. Egli giungeva su, rosso e stillante di sudore; posava le conche, lanciando sguardi di sbieco alla vittima. Orsola si ritirava nell'altra stanza o si curvava sul lavoro stringendo i denti nella collera repressa. Lindoro se ne andava, come un cane frustato; ma il pensiero di aver posseduto quella donna gli turbava il sangue: avrebbe voluto ora trascinarsela con sé, tenersela, esserne il padrone come di una merce da usare e da vendere. Cupidigia sensuale e avidità di guadagno in lui si mescevano.

Una sera egli aspettò che Camilla uscisse, alla porta di strada; poi salì a precipizio per sorprendere Orsola, per trovarla sola nella casa. Quando egli batté all'uscio Orsola lo riconobbe e si sentì rimescolare.

- Che vuoi da me, che vuoi? - chiese ella con la voce soffocata, senza aprire.

- Sentimi un momento, sentimi! Non aver paura; non ti faccio male...

- Vattene, cane, infame, assassino... - proruppe la donna, con una veemenza stridula di vituperii, togliendo il freno a tutto l'odio accumulato contro colui. - Vattene, vattene!

E, sfinita, si ritrasse nella sua stanza, si gettò, su i guanciali mordendoli fra le lagrime.

 

 


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