Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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La sagra dei Mille

Orazione per la sagra dei Mille

II

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II

Se mai le pietre gridarono nei sogni dei profeti, ecco, in verità, nella nostra vigilia questo bronzo comanda.

È un comandamento alzato sul mare.

È una mole di volontà severa, al cui sommo s’aprono due ali e una ghirlanda s’incurva.

È ingente e potente come il flutto decumano, o marinai, come quell’onda che sorge con più d’impeto dopo le nove dalle quali fu preceduta, prima delle nove che son per seguirla: onda maggiore, che porta e chiama il coraggio.

I resuscitanti eroi sollevano con uno sforzo titanico la gravezza della morte perché il lor creatore in piedi la foggi in immortalità.

In piedi è il creatore, fiso a quella bellezza che sola visse nelle pupille dei nostri martiri e restò suggellata sotto le loro palpebre esangui.

Egli la guarda, egli la scopre, egli la rialza. Sta dinanzi a lui come una massa confusa. Egli la considera non altrimenti che Michelangelo il blocco di marmo avverso.

Braccia d’artiere terribili son le sue braccia. Voi lo vedete. E le sue mani possiedono l’atto come le mani del Dio stringono la folgore. Non si sa se le gonfi di sì grandi vene la possa dell’opera compiuta o di quella ch’è da compiere.

Dov’è, se non in voi, se non nella unanimità vostra improvvisa, o Italiani, la balenante bellezza ch’egli oggi solleva e pone dinanzi a sé per condurla al rilievo sublime?

Nessuno più parla basso; ché cessano il danno e la vergogna; l’ignavia del non veder, del non sentire cessano. E i messaggeri aerei ci annunziano che la Notte di Michelangelo s’è desta e che l’Aurora di Michelangelo, pontando nel sasso il piede e il cubito, scuote da sé la sua doglia ed ecco già balza in cielo dall’Alpe d’oriente.

Verso quella, verso quella risorgono gli eroi dalle loro tombe, delle loro carni lacerate si rifasciano, dell’arme onde perirono si riarmano, della forza che vinse si ricingono: per quella che sùbito dai grandi òmeri sprigiona le penne della Vittoria.

Delle lor bende funebri noi rifaremo il bianco delle nostre bandiere.

Or, di lungi, l’osso dell’ala non sembra il taglio d’una tavola d’altare, sollevata dall’ebrezza dei martiri? E non v’è, dentro, una cavità simile alla fossa del sacrificio, pel sangue e per la vampa?

Ah, se mai le pietre gridarono nei sogni dei profeti, ben questo bronzo oggi grida e comanda.

Se mai a grandezza d’eroi fu dedicata opera di metallo, conflàtile detta dagli antichi nostri, ciò è composta di fuoco e di soffio, ben questa è la suprema, tutta fatta di fuoco e di soffio, di fede infiammata e d’anelito incessante, d’ardor sostenuto e d’ansia creatrice.

È calda ancóra. Ancor ritiene il furore della fornace. Il nume igneo l’abita.

Forse la vedreste rosseggiare, se la luce del giorno non la velasse.

Io credo che stanotte apparirà tutta rovente sul fremito del mare, fatta, come questa nova concordia nostra, di fusione che non si fredda.

E gli altri eroi tornanti pel Tirreno, dai sepolcreti di Sicilia ove il grano spiga e già è pieno di frutto, diranno: «Lode a Dio! Gli Italiani hanno riacceso il fuoco su l’ara d’Italia».


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