Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Per la più grande Italia
Lettura del testo

La sagra dei Mille

Orazione per la sagra dei Mille

IV

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

IV

I Mille! E in noi la luce è fatta. Il verbo è splendore. La parola sfolgora.

I Mille! Ed ecco, nel mezzo dell’anima nostra, aperta una sorgente di vita perpetua.

Commemoriamo il passato? ci volgiamo a quello che fu? Chi dunque a noi lo fa per sempre immune da ogni germe di disfacimento? chi dunque a noi lo trasforma in ciò che non muta, non perisce e non si corrompe?

Le figure della storia corrono senza tregua come una fiumana insonne, dileguano come le nubi in un cielo di nembo, s’allontanano come gli aneliti del vento nel deserto, disperdendo all’infinito quella parte di noi che non può ritornare.

Ma questa figura, ecco, sopra la fugace e vorace storia, culmina come inespugnabile fiore, nella novità perenne del mito. Il nostro Iddio, pur nella lunga miseria nostra, darci volle una tanta testimonianza del nostro sangue privilegiato!

Anni senza numero gocciano per formare l’invitto diamante nella terra buia. La radice smisurata della stirpe travaglia nei secoli dei secoli per convertire l’evento in cima eternale.

Ma noi miseri, noi tristi, noi smarriti abbiam veduto sorgere questa cima dal profondo della nostra sostanza, dall’intimo mistero dell’anima nostra. L’Iddio nostro, per segno di salvezza, ha creato di noi questo mito.

Esso è . Ci sovrasta senza ombra, ché il meriggio è l’immobile sua ora.

Quale stagliato picco dell’Alpe apuana è tanto visibile al Ligure che veleggia nell’alba più chiara?

Esso è . Noi lo sentiamo e lo guardiamo.

Chi pensa al tempo? Era il tempo quando le cerulee cantatrici del Mar Tirreno chiamavano dall’isola dei narcissi i navigatori al perdimento? Orfeo alzato su la poppa poté vincere la melodia, il re d’Itaca vincolato all’albero poté non udirla. Ma come la nave d’Argo e la nave d’Ulisse ritornarono cariche d’altri fati e d’eroi novelli?

No. Fu ieri. Grandi testimoni l’attestano. Il Duce nel bronzo, eccolo, ha la statura e la possa di Teseo. Ma voi lo vedeste, santissimi vecchi, voi lo vedeste col suo corpo di uomo, con l’umano suo corpo mortale, col suo passo di uomo su la terra. Tale egli è ne’ vostri santi occhi.

Un figliuol suo, una creatura della sua carne, che le sue braccia cullarono, tra noi vive, parla, opera, aspetta di ricombattere. E non riarde il suo più rapido sangue nella giovinezza de’ suoi nepoti che vivere senza gloria non sanno ma ben sanno morire?

Uomo egli fu, uomo tra uomini. E voi lo vedeste, santissimi vecchi, lo vedeste da presso come la Veronica vide il Cristo in passione. Il suo volto vero è impresso nella vostra anima come nel sudario il volto del Salvatore. Nessuna ombra l’offusca.

Egli sorride. Voi lo vedeste sorridere! Diteci il sorriso del suo coraggio. Apritevi il cuore, e mostrateci quel miracolo umano. Ciascuno di voi avrebbe voluto morire nell’attimo di quel baleno.

Questo luogo egli lo traversò, con le sue piante di marinaio lo stampò, bilanciando su la spalla la spada inguainata. Alzò gli occhi a guardare se Arturo, la sua stella, brillasse. Udiste la sua voce fatale, più tardi, nel silenzio della bonaccia, su l’acqua piena di cielo.

Taluno di voi lo vide frangere il pane sotto l’olivo di Calatafimi?

Ma quale di voi gli era vicino quando parve ch’ei volesse morire sopra uno dei sette cerchi disperati? Udiste allora la sua voce d’arcangelo?

Disse: «Qui si fa l’Italia o si muore».

A lui che sta nel futuro «Qui si rinasce e si fa un’Italia più grande» oggi dice la fede d’Italia.


«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL