Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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La sagra dei Mille

Parole dette nel convito offerto dal Comune di Genova ai superstiti dei Mille, la sera del v maggio mcmxv

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Parole dette nel convito offerto

dal Comune di Genova ai superstiti dei Mille, la sera del v maggio mcmxv

Sembra che da stamani noi respiriamo non so che ardore di miracolo, dove s’avvicendano in una sorta di balenìo la verità e il sogno, la vita attuale e la più lontana favola.

Questi convitati maravigliosi, che seggono a questa mensa, mangiarono con la fame della giovinezza il pane e il cacio a Calatafimi, sul colle conquistato, verso sera, mentre si levava il vento fresco a piegare le spighe, non lungi dai loro morti, da Giuseppe Belleno, da Giuseppe Sartorio carabinieri genovesi, caduti in disparte, non lungi dal luogo dove il grande alfiere di Camogli giaceva supino, con gli occhi sbarrati e fissi alla prima stella.

Ora sono qui, vivi, riboccanti di animo, sfolgoranti ancóra di battaglia; sono qui, bevono con noi il vino augurale che ci offre la Genova degli antichi consoli, la Genova erede della forza romana, erede della legge romana, del diritto romano, dell’arte romana d’aprire le vie nuove pel vasto mondo. Bevono con noi, con gli inviati delle città illustri, delle città fedeli, questo vino mistico del nostro patto nazionale. Essi dormirono nei campi di grano, laggiù, dopo la vittoria; e sembra, che si sieno risvegliati in quest’alba, coperti di rugiada, sembra che ridesti respirino tuttavia il vento della vittoria.

Quali mani, se non le loro, o nobili ospiti, degne di risollevare quel Sacro Catino, quella «tazza di salute» che fu celebrata nella «Canzone del Sangue»?

Finché in Atene rimase vivo uno dei combattenti di Maratona, gli Ateniesi si credettero signori della loro alta sorte.

All’Italia nostra, dei Mille, più di cento rimangono; e la sorte d’Italia è oggi nel pugno d’Italia.

Secondo la parola profetica del Duce, i Mille sono per moltiplicarsi in mille volte mille. Non li udiamo già muovere in marcia col medesimo ritmo? Tutto il passato confluisce verso l’avvenire. L’unità sublime si forma. E Roma, ecco, riprende il suo nome occulto: Amor.

A Roma-Amor io bevo. Bevo a Genova che ha perpetua una volontà d’ascensione non soltanto nei suoi spiriti, ma in tutte le sue pietre. Bevo alle città sorelle e giurate, bevo alle città martiri dell’altra riva; e a voi, gloriosissimi veterani, che ci ringiovanite, insegnandoci su questa mensa come di pensiero antiveggente e di fede confessata si componga la colma ebrezza.

Viva l’antica e nova Italia! Viva l’Italia eterna!



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