Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Per la più grande Italia
Lettura del testo

La sagra dei Mille

Parole dette il vi maggio nei giardini del palagio di Andrea Doria, ricevendo in dono il gesso del Leone tergestino che è murato in una casa dei Giustiniani

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

Parole dette il vi maggio nei giardini del palagio di Andrea Doria, ricevendo in dono il gesso del Leone tergestino che è murato in una casa dei Giustiniani

@ iste lapis in qvo est figvra sancti

s. marci delatvs fvit de tergesto

capto a nostris mccclxxxii

Brevi parole dirò, tanta è qui l’eloquenza delle memorie, delle cose, dei segni, tanto è grave di destino questo dono che io ricevo con cuore tremante, come se in me, per grazia d’una fedeltà senza fallo, a più degnamente riceverlo, entrasse l’ansia di quella che laggiù soffre la fame del corpo, soffre la fame dell’anima, violata, straziata, calcata con ferocia ogni giorno più maledetta.

La sentiamo qui in presenza vera. È davanti a noi, come quell’urna scolpita, come quelle statue. È diritta davanti a noi, con tutte le sue piaghe aperte, con tutte le sue lividure, con le tracce di tutte le ingiurie, come il Paziente alla Colonna.

E dietro a lei, presenti i vivi del medesimo sangue, si levano i nove e nove martiri giovinetti dei Giustiniani e le loro madri sublimi, intente a fortificarli nel dolore terrestre e nella speranza immortale.

Ah, veramente, noi cominciamo a vergognarci di tanto parlare. E intendiamo il rude bisticcio di quell’uno dei Mille, grandissimo animo in piccolo corpo, il quale iersera gridò nel convito, con la sua voce di assalto: «Meglio che prendere la parola, io vorrei riprendere il fucile, o compagni».

Motto garibaldino, ben detto e bene udito in Genova.

Ci piaccia qui ricordare come, dopo la morte di Simon Vignoso, riconstituita la nuova Maona, tra i dodici socii che rinunziarono il loro casato per assumere il nome di Giustiniani, fosse un Francesco Garibaldo: testimonio di vecchia e dura stirpe ligure.

Non questo gesso che io custodirò piamente, ma il Leone di pietra istriana, tratto del glorioso muro in un altro giorno di sagra marina, Genova rimanderà per mare a Trieste: restituzione magnifica.

Passi la nave in vista della Caprera, che forse s’empirà di ruggito ripercosso dalle rocce. E navighi all’Adriatico. E il morto figlio di Lamba sepolto nelle acque trionfate, e Luciano d’Oria davanti a Pola, e Gasparo Spinola davanti a Trieste, e gli altri terribili vostri riappariranno in epifania d’amore commisti ai vendicati di Lissa, luminosissimamente.

E il Leone di San Marco recato nell’Adriatico da nave di Genova significherà per gli Italiani: «Questo mare profondo, ove la cresta di ogni flutto è fiore di nostra gloria, si chiama, di nuovo e per sempre, nei linguaggi di tutte le nazioni, il Golfo di Venezia».



«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL