Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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La sagra dei Mille

Parole dette il vi di maggio nella Sala delle Compere, nel palagio di San Giorgio, ricevendo in dono la targa di bronzo offerta dal Comitato genovese della

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Parole dette il vi di maggio nella Sala delle Compere, nel palagio di San Giorgio, ricevendo in dono la targa di bronzo offerta dal Comitato genovese della

«Dante Alighieri»

Genova sembra oggi superare i più purpurei giorni della sua magnificenza e della sua spiritualità. Ieri ella diede lo spettacolo di tutto un popolo che potentemente respira nel cielo stesso dell’eroismo e della divinazione. Questa sera, in questo rinnovellato Palagio della sua saggezza e de’ suoi ardiri, nella Sala dei Capitani del Popolodove i suoi più virtuosi padri, alzati o seduti nelle toghe severe, incitano i nepoti alla magnanimità con sentenza latinaGenova ha voluto celebrare la gloria della Lingua, servire al culto della Lingua, ossia confermare il rispetto, la custodia e la propagazione di ciò che in tutti i tempi fu considerato come il più profondo tesoro dei popoli, come la più alta testimonianza della lor nobiltà originaria, come l’indice supremo del lor sentimento di libertà e di dominio morale.

Ovunque per antico fu murata l’imagine lapidea del vostro patrono, ovunque fu essa scolpita in portali, dipinta in edicole, incisa in suggelli, battuta in monete, ovunque fu sventolata in vessilli da Consoli, da Podestà, da Capitani, da Dogi, lungo le coste del Mar Nero, negli arcipelaghi dell’Egeo, nelle città della sacra Asia, e più oltre, e più lontano, di dalla conca mediterranea, a traverso gli oceani sempre arati, voi volete spingere e diffondere quest’altro segno vivo della nazione unanime, voi volete che favelli e inteso sia quello strapotente assertore d’italianità onde s’intitola il vostro corpo di socii militanti.

Noi ci moveremo infatti per recuperare le terre a cui tal voce sonò e suona, per riconquistare le nostre patrie minori che si formano intorno a tale scuola e palestra.

Per ciò dove fu posto San Giorgio con l’asta ferente, dove fu posto il Leone col libro chiuso, noi poniamo, noi porremo il grifagno Dante col libro aperto, quale lo veggono in Santa Maria Novella i Fiorentini, quale lo rappresentò nel tempio sopra l’acropoli di tufo un maestro che degli spiriti e dei muscoli danteschi fece l’arte sua strenua.

Questo sdegnoso poeta che qui m’accoglie e mi loda, questo fiero e solitario Apuano, non scorse già dalla sua torre di Mulazzo l’esule di parte bianca ritornare per fato?

Egli viaggia. Contano le pietre

anco i suoi passi; e al pellegrin le porte

anco dischiude col suo nome in bocca

l’ospite gente!

Che qui, in questa sede delle Compere e dei Banchi, in questo archivio di cartolari e di registri, tra imposte, proventi, sconti, scuse, paghe mature, il novo Console m’abbia onorato accogliendomi con l’eleganza di un nobilissimo umanista, diserto e squisito come quel vostro Andriolo della Maona di Scio, è già mirabile cosa. Ma che qui a colmarmi d’onore sia deputato un poeta mero e della specie più pura, è singolarissimo evento.

Questo mio fratello, «diletto fratel mio di pene involto», in miserrimi tempi, levandosi di sopra ai trafficatori di ciance, si domandò in un’ode profetica: «Quando tornerà Garibaldi?».

Egli è tornato. «Sopravveniente» era egli detto nell’inscrizione della medaglia coniata dal Comune. Or egli è sopraggiunto, su l’immensa onda popolare. Onnipotente mito agli Italiani egli è come l’Alighieri. L’uno e l’altro sono con noi, sono di noi. Tutti qui siamo pronti a confessare questa certezza.

L’uno già spazia fra l’Alpe di Trento e il Quarnaro, ma col suo sguardo aquilino respinge i termini ben più lontano, sino a quell’estrema spiaggia dove la fedele gente dalmata, intorno alla statua d’un severo amatore di libertà che morì cieco e veggente, ha istituito un culto d’aspettazione.

L’altro già corre a ricercare, in quell’alpe del suo cruccio, le armi e le anime che furono quivi spezzate, or è cinquantun anno.

Console del risorto San Giorgio, ospiti e compagni miei, in questo Palagio del Mare, dove sopra il camino di Gian Giacomo della Porta è raffigurata con imagine romana e con romana brevità la vittoria dell’anima eroica su la fiamma pugnaceQuid magis potuit –, noi vogliamo ripetere la sentenza che nel tempo della gesta d’oltremare attribuimmo al «Signor del novo regno».

Chi stenderà la mano sopra il fuoco

avrà quel fuoco per incoronarsi.



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