Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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La legge di Roma

Arringa al popolo di Roma in tumulto, la sera del xiii maggio mcmxv

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Arringa al popolo di Roma in tumulto,

la sera del xiii maggio mcmxv

Compagni, non è più tempo di parlare ma di fare; non è più tempo di concioni ma di azioni, e di azioni romane.

Se considerato è come crimine l’incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io lo prenderò sopra me solo.

Se invece di allarmi io potessi armi gettare ai risoluti, non esiterei; né mi parrebbe di averne rimordimento.

Ogni eccesso della forza è lecito, se vale a impedire che la Patria si perda. Voi dovete impedire che un pugno di ruffiani e di frodatori riesca a imbrattare e a perdere l’Italia.

Tutte le azioni necessarie assolve la legge di Roma.

Ascoltatemi. Intendetemi. Il tradimento è oggi manifesto. Non ne respiriamo soltanto l’orribile odore, ma ne sentiamo già tutto il peso obbrobrioso. Il tradimento si compie in Roma, nella città dell’anima, nella città di vita! Nella Roma vostra si tenta di strangolare la Patria con un capestro prussiano maneggiato da quel vecchio boia labbrone le cui calcagna di fuggiasco sanno la via di Berlino. In Roma si compie l’assassinio. E se io sono il primo a gridarlo, e se io sono il solo, di questo coraggio voi mi terrete conto domani. Ma non me ne importa.

Udite. Ascoltatemi. Non è da difendere la Patria sola, quella eccelsa spiritualità che di sé c’infiamma e ci accresce, quella numerosa bellezza che dal silenzio dei nostri morti s’inarca verso la melodia dei nascituri ed è sul nostro capo il vero firmamento. Noi dobbiamo, noi vogliamo difendere anche noi stessi, noi uomini di carne e di pena, noi che pensiamo e lavoriamo, noi che andiamo per la vasta terra, noi che siamo una gente fra le genti.

Udite. Noi siamo sul punto d’essere venduti come una greggia infetta. Su la nostra dignità umana, su la dignità di ognuno, su la fronte di ognuno, su la mia, su la vostra, su quella dei vostri figli, su quella dei non nati, sta la minaccia d’un marchio servile. Chiamarsi Italiano sarà nome da rossore, nome da nascondere, nome da averne bruciate le labbra.

Intendete? Avete inteso? Questo vuol fare di noi il mestatore di Dronero, intruglio osceno, contro il quale un gentiluomo di chiarissimo sangue romano, Onorato Caetani, or è moltanni, scoccò un epigramma crudele, ma di giustezza e profondità maravigliose: da non ripetere, per tema di offendere i Bolognesi e due bestie innocenti. Questo vuol fare di noi quell’altro ansimante leccatore di sudici piedi prussiani, che abita qui presso; contro il quale la lapidazione e l’arsione, sùbito deliberate e attuate, sarebbero assai lieve castigo. Questo di noi vuol fare la loro seguace canaglia.

Questo non faranno. Voi me ne state mallevadori, o Romani. Giuriamo, giurate che non prevarranno.

Il vostro sangue grida. La vostra ribellione rugge.

Finalmente voi vi ricordate della vostra origine!

La storia vostra si fece forse nelle botteghe dei rigattieri e dei cenciaiuoli? Le bilance della vostra giustizia crollavano forse dalla banda overa posto un tozzo da maciullare, un osso da rodere? Il vostro Campidoglio era forse un banco di barattatori e di truffardi? La gloria vi s’affaccendava e ciangottava da rivendugliola?

Non ossi, non tozzi, non cenci, non baratti, non truffe. Basta! Rovesciate i banchi! Spezzate le false bilance!

Stanotte su noi pesa il fato romano; stanotte su noi pesa la legge romana.

Accettiamo il fato, accettiamo la legge. Imponiamo il fato, imponiamo la legge.

Le nostre sorti non si misurano con la spanna del merciaio, ma con la spada lunga.

Però col bastone e col ceffone, con la pedata e col pugno si misurano i manutengoli e i mezzani, i leccapiatti e i leccazampe dell’ex-cancelliere tedesco che sopra un colle quirite fa il grosso Giove trasformandosi a volta a volta in bue tenero e in pioggia d’oro. Codesto servidorame di bassa mano teme i colpi, ha paura delle busse, ha spavento del castigo corporale. Io ve li raccomando. Vorrei poter dire: io ve li consegno. I più maneschi di voi saranno della città e della salute publica benemeritissimi.

Formatevi in drappelli, formatevi in pattuglie civiche; e fate la ronda, ponetevi alla posta, per pigliarli, per catturarli. Non una folla urlante, ma siate una milizia vigilante.

Questo vi chiedo. Questo è necessario. È necessario che non sia consumato in Roma l’assassinio della Patria. Voi me ne state mallevadori, o Romani.

Viva Roma vendicatrice!



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