Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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La legge di Roma

Parole dette nella Casa degli Artisti, la sera del xvi maggio mcmxv

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Parole dette nella Casa degli Artisti, la sera del xvi maggio mcmxv

In questi giorni di tumulto vitale, in questi giorni di milizia ideale, in cui ogni buon cittadino si sente soldato prima della guerra, io ho accolto l’invito dei miei vecchi e nuovi compagni d’arte per la certezza di trovare anche qui un focolare di ardore civico.

Lode a voi! Primi fra tutti in Italia, fervidi fra tutti, voi levaste il grido contro le orrende distruzioni barbariche. Voi palpitaste di dolore e di sdegno quando su la sublime Cattedrale di Francia, edificata e ornata da secoli d’amore e di speranza, s’abbatté la stupida ferocia degli invasori.

Ebbene, o amici, o compagni, io vi dico che l’arte vera è inviolabile, che la vera bellezza è inconsumabile. Dalle fondamenta scosse, dalle volte fendute, l’antico pensiero ritorna con la purità originaria al popolo rinnovato. Nel vano della grande Rosa ora s’affaccia il volto divinamente trasfigurato della Nazione sanguinante. E, in verità, sembra che la pietra angolare della nova coscienza francese debba esser tagliata in un di quei blocchi.

Alla vigilia di un evento che deve ricreare la nostra unità, salutiamo le potenze eterne della gente latina. Ella è l’artefice chiara delle stirpi confuse. In lei soltanto la materia immensa e incandescente della nova vita troverà i grandi conii perfetti. Ella soltanto, dopo la lotta e dopo la vittoria, ridonerà al mondo lo stampo eroico dell’uomo.

L’antica arte aveva dato agli dei gli attributi umani, la libertà e la coscienza; all’uomo l’attributo degli dei, l’immortalità. Un Elleno aveva deposto nel tempio di Delfo, tra le statue divine, uno scheletro di bronzo esattamente costruito. Egli non sapeva forse di aver sollevato sul piedistallo il modello del mondo, la compiuta bellezza fatta di logica necessità.

La futura arte latina rinnoverà, consapevole, quella consecrazione dell’Elleno; poiché l’ossatura umana, o pittori, o statuarii, o architetti, macchina meravigliosa fra tutte, ordinata e congegnata in ogni sua parte alla sua destinazione terribile, ci significa in silenzio la parola della più certa gioia, della più diritta azione, la parola di oggi, o artisti d’Italia, la parola di domani: Apprendi a considerar bello ciò che è necessario.

Prima che il sole di domani tramonti (il 17 di maggio i Mille da Calatafimi partirono verso l’espugnazione di Palermo regia), prima che la notte occupi i Fòri e gli Archi, splendendo ancóra sul Quirinale i due Cavalieri gemelli, i due divini combattenti di Regillo, bisogna che cessino gli estenuanti indugi, bisogna che la sentenza della risoluzione estrema sia pronunziata.

Da questa sede romana dell’arte, da questo asilo delle Muse geniali, auguriamo alla nostra bella Vittoria latina il più lungo volo!



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