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Nell’andare al Parlamento, per la grande Assemblea del xx maggio mcmxv
Voi mi domandate se siamo alfine usciti d’ansia, se siamo usciti d’oscurità, se possiamo confidare, se possiamo esser sicuri, se alfine sia questo veramente il giorno annunziato nel vespro di martedì dalla campana capitolina.
Ebbene, io non so rispondere.
Più d’una volta in questi giorni di tumulto e di ardore, in cui una sola cosa bella e grande s’è alzata su la miseria e l’ignavia comuni: la generosità del popolo, la vostra: più d’una volta io vi ho detto: «Non vi lasciate illudere, non vi lasciate sorprendere. Bisogna ancóra vegliare, bisogna ancóra fronteggiare il pericolo.»
È triste cosa dover oggi ripetere il medesimo ammonimento, dover tuttavia gettare l’allarme. Vi sono bestie che fuggendo lasciano al fiuto una lunga traccia, uno strascico fetido. Se voi fiutate l’aria con le vostre nari sagaci, scoprite non so che sentore indistinto di paura e d’insidia.
Dei banditi taluni si sono dispersi, seguendo l’esempio del lor tristo capobanda che del delitto di lesa patria si dimostra omai convinto. Ma taluni, il cui stesso terrore è impudico, simili ai ladruncoli inseguiti che la notte ripigliano fiato nelle locande infami, sono stati ricettati in un luogo prossimo a Montecitorio; e si dice che, poco dopo l’alba, ne siano scappati per entrare gatton gattoni nel palazzo. La loro presenza, omai certa, basta a rendere impura l’aula dove stanno per decidersi le sorti d’Italia.
O immenso respiro di Roma sollevata, o garrito delle bandiere e delle rondini, o glorioso turbine dei secoli sul parlamento del popolo novo, là, nella piazza del Campidoglio!
Non doveva oggi essere un giorno radioso, un giorno d’allegrezza piena, di magnifica potenza: il giorno sonato a tutta la nazione dalla Campana grande? Non doveva oggi essere, pel popolo di Roma, pel popolo d’Italia, un giorno di libertà nel patto concorde?
Ora la città è piena di soldati al servigio della Questura; il tumido ragno alemanno è tuttavia al centro della sua tela e guata; il vicario dell’Impiccatore, quello il cui nome indica in persona prima il suo sporco officio, è tuttavia là, ben custodito. Gli stranieri non se ne vanno, ma fingono di andarsene. I più si fermano alla frontiera, per aspettare gli avvenimenti; formano alla frontiera una zona maligna. Speculano, spiano. Sorridono anche, sogghignano anche. Confidano nella nostra pusillanimità, nella nostra remissione finale, nel lieto fine della farsa tragica! Per costoro noi non possiamo essere se non una genìa di confettieri, di caffettieri e di camerieri, un’accozzaglia di ciarloni, di poltroni e di buffoni.
Compagni, vi sentite voi la pazienza di sopportar questo, per un giorno ancóra?
È necessario che oggi, intorno a Montecitorio dove si può forse ancor cianciare e differire, voi siate un cerchio di volontà coercitiva, una tanaglia tremenda che non rilascia quel che ha serrato.
«Basta! Basta!» è oggi la parola d’ordine. Basta l’indugio, basta il sotterfugio, basta il cavillo, basta la reticenza, basta la furberia, basta ogni forma di viltà, ogni forma di vergogna. Basta, in fine, tutto quel che non è italiano.
Questo è il vostro volere, anzi il vostro comando.
Ci rivedremo, prima che il sole tramonti.
Viva il popolo di Roma, padre della Patria!