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Nell’uscire dal Parlamento, dopo il vóto, la sera del XX maggio MCMXV
Compagni, la nostra settimana di passione è finita in allegrezza, s’è compiuta in giubilo!
Gloria al popolo di Roma che ha precorso e promosso l’impeto dell’anima nazionale!
Come la campana del Campidoglio, la campana di Montecitorio suoni a stormo nel vespro glorioso!
L’onore della Patria è salvo. L’Italia è liberata. Le nostre armi sono nelle nostre mani. Non temiamo il nostro destino ma gli andiamo incontro cantando. La plumbea cappa senile ci opprimeva; ed ecco, la nostra giovinezza scoppia subitanea come la folgore. In ciascuno di noi arde il giovenile spirito dei due Cavalieri gemelli che guardano il Quirinale. Essi scenderanno stanotte ad abbeverare i loro cavalli nel Tevere, sotto l’Aventino, prima di cavalcare verso l’Isonzo che faremo rosso del sangue barbarico. I loro astri splenderanno stanotte su gli Archi di trionfo, e i loro fuochi palpiteranno su gli alberi delle nostre navi.
I semidii delle origini e gli eroi della storia tornano a noi, vengono alla nostra festa. Per segno della sorte, o cittadini, oggi è l’anniversario della battaglia di Montebello – 20 maggio 1859 –, è l’anniversario della gioiosa battaglia ove i federati latini per la prima volta mescolarono le loro vene e misero in rotta l’esercito austriaco, uno contro quattro, cinquemila contro ventimila. È l’anniversario della fazione ove un pugno di prodi, i cavalleggeri di Novara, d’Aosta e di Monferrato, condotti da Maurizio di Sonnaz, arrestarono con undici cariche, l’una più ruinosa dell’altra, le forze austriache cinquanta volte superiori.
Al passaggio della Sesia, con un ardimento che parve folle, i nostri si gettavano in frotte nei guadi profondi e malsicuri. Esciti alla riva, avendo tutte le munizioni bagnate, coperti di melma, grondanti, si scagliavano sùbito con le baionette contro il nemico, «a ferro freddo», uno contro dieci; e lo fugavano.
Ben questo coraggio, ben questo impeto, ben questo vigore sono le vere virtù della nostra razza. Tutto il resto non è italiano: è infezione straniera propagata in Italia dall’abietta giolitterìa.
Liberiamoci per sempre dagli infettatori. Liberatrice è la guerra, in ogni senso. È da ripetere oggi la parola del vostro Tacito: «La guerra taglierà i loro enfiati, e vedrassi la puzza che n’esce».
Oggi, o Romani, o Italiani, non ascoltiamo se non il grido dei cavalleggeri di Montebello, il grido dei bersaglieri della Sesia: «Avanti! Che siamo pochi o molti, uno contro uno, uno contro quattro, uno contro dieci, avanti, sempre avanti! Alla carica! Alla baionetta! Vittoria!».
La vittoria è di coloro che nella vittoria credono, che nella vittoria giurano.
Noi crediamo, noi giuriamo di vincere; noi vogliamo vincere.