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Terminologia dell'ambiente

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  • SINA - MODULO CENTRALE: MODELLO DELL'ORGANIZZAZIONE
    • PARTE II - SETTORI DI INTERVENTO
      • 4. IL SUOLO
        • 4.2 Analisi della normativa di settore
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4.2 Analisi della normativa di settore


4.2.1 La Legge 183/89
La Legge 18 maggio 1989, n. 183, insieme alle successive disposizioni integrative contenute nella Legge 253/90, indica le Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo e pertanto deve ritenersi il riferimento essenziale per la definizione di ciò che si intende con le accezioni suolo e difesa del suolo, in quanto in tale legge confluisce tutta la precedente normativa in materia. La Legge 183, oltre ad indicare le attività, i soggetti centrali interessati, ed i servizi preposti alla attuazione, definisce gli ambiti, gli strumenti, gli interventi e stabilisce le risorse.
Va notato che oltre la difesa del suolo, la Legge suddetta ha per scopo anche il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico, e la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi.
Ai fini della Legge 183, per suolo si intende una accezione molto vasta:
- il territorio,
- il suolo,
- il sottosuolo,
- gli abitati,
- le opere infrastrutturali
Nella Legge vengono anche definite le attribuzioni statali previste per le attività di pianificazione, di programmazione e di attuazione degli interventi. Per ciò che riguarda l'aspetto suolo è compito specifico del Ministero dell'ambiente quanto stabilito art. 3, comma 1, lettera a) e h), ovvero l'esercizio delle funzioni amministrative riguardanti la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici, con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulico agrari, silvo-pastorali, di forestazione e di bonifica, anche attraverso processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico, oltre la definizione di provvedimenti per il razionale impiego di concimi e pesticidi in agricoltura, relativamente agli aspetti di rilevanza ambientale (Art. 5, comma 3).
Per quello che riguarda gli aspetti di pianificazione, programmazione ed attuazione degli interventi, sono attribuite dalla Legge 183 al Ministero dell'ambiente di concerto (interviene nella predisposizione di piani di settore a carattere nazionale che abbiano rilevanza di impatto ambientale) e di intesa (adotta iniziative necessarie per assicurare il coordinamento delle funzioni di tutela dell'ambiente con gli interventi di difesa del suolo) con il Ministero dei Lavori Pubblici tutte le seguenti attività (Art. 5, comma 2, lettera e):
- la disciplina delle attività estrattive, al fine di prevenire il dissesto del territorio, inclusi erosione ed abbassamenti degli alvei e delle coste;
- la difesa ed il consolidamento dei versanti e delle aree instabili, nonché la difesa degli abitati e delle infrastrutture contro i movimenti franosi, le valanghe e altri fenomeni di dissesto;
- il contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli;
- la protezione delle coste e degli abitati dall'invasione e dall'erosione delle acque marine ed il ripascimento degli arenili, anche mediante opere di ricostruzione dei cordoni dunosi;
- la regolamentazione dei territori interessati dagli interventi di cui ai punti sopra esposti ai fini della loro tutela ambientale, anche mediante la determinazione di criteri per la salvaguardia e la conservazione delle aree demaniali.
Per il conseguimento degli obiettivi che si prefigge, la legge attribuisce funzioni a tutti i soggetti competenti in materia di assetto del territorio e di governo delle acque, ossia non solo allo Stato, ma anche alle regioni, alle province, ai comuni, alle comunità montane, ai consorzi di bonifica ed irrigazione e quelli di bacino imbrifero montano.
In particolare vengono istituiti a livello centrale il Comitato dei ministri per i servizi tecnici nazionali e gli interventi nel settore della difesa del suolo, il Comitato nazionale per la difesa del suolo, la Direzione generale della difesa del suolo.
Il territorio di riferimento per l'azione di difesa del suolo è il bacino idrografico. Per bacino idrografico la legge intende tutto quel territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgono in un determinato corso d'acqua, direttamente o a mezzo di affluenti. Viene considerato parte di un bacino idrografico anche il territorio che può essere soggetto ad allagamenti da parte di un corso d'acqua. Tutto il territorio nazionale, ivi comprese le isole minori, è ripartito in bacini idrografici. A seconda della importanza e della conformazione dei bacini, questi si distinguono in bacini di interesse nazionale, bacini interregionali e bacini regionali.
Per i bacini di interesse nazionale vengono istituite le Autorità di bacino. Organi della Autorità di bacino sono:
- il comitato istituzionale;
- il comitato tecnico;
- il segretario generale e la segreteria tecnico-operativa.
Il comitato istituzionale delle Autorità di bacino predispone il Piano di bacino, considerando il bacino medesimo come un ecosistema unitario. A tale scopo:
- adotta criteri e metodi per la sua elaborazione,
- individua tempi e modalità per la sua attuazione,
- determina quali componenti del piano stesso costituiscono interesse esclusivo di singole regioni o di più regioni insieme,
- lo adotta,
- esercita un opera di coordinamento per la sua attuazione,
- esercita una azione di controllo.
Il comitato istituzionale, per quanto attiene al risanamento delle acque, alla tutela dei suoli dall'inquinamento e alla salvaguardia dell'ecosistema fluviale, è presieduto dal Ministro dell'ambiente.
I piani di bacino sono coordinati con i piani nazionali, regionali e sub-regionali di sviluppo economico e uso del suolo. Di conseguenza le autorità competenti provvedono ad adeguare i piani, ed in particolare quelli di smaltimenti dei rifiuti, di disinquinamento, di bonifica ecc. Gli enti territoriali sono tenuti a rispettare le prescrizioni del piano di bacino nel settore urbano.
Per quanto riguarda i bacini di rilievo nazionale ed interregionale, questi già possiedono una delimitazione provvisoria, indicata dalla cartografia allegata al DPCM del 22 dicembre 1977, pubblicato nella G.U. n.354 del 29 dicembre 1977. La delimitazione dei bacini di interesse regionale, di compito delle regioni, è prevista dalla legge entro un anno dalla entrata in vigore della legge stessa. La Legge 183 definisce 11 bacini di rilievo nazionale, presieduti da 6 Autorità di bacino, e 18 bacini di rilievo interregionale.
Eventuali atti relativi alle variazioni della delimitazione dei bacini di rilievo nazionale e interregionale sono approvate tramite DPCM su proposta del Ministro dei lavori pubblici.
I piani di bacino sono attuati attraverso programmi triennali di intervento.


4.2.2 Il DPCM 23/3/1990
Nel DPCM del 23 marzo 1990 vengono forniti gli indirizzi ai fini della elaborazione e della adozione degli schemi previsionali e programmatici relativi alla legge 183 per quanto riguarda i piani di bacino. Nel citato DPCM vengono esposti in dettaglio i seguenti argomenti:
- gli elementi conoscitivi e i contenuti esemplificativi della base conoscitiva che è opportuno acquisire per la predisposizione dei piani di bacino;
- i criteri generali di valutazione delle priorità per gli interventi ambientali;
- gli elementi per la individuazione di situazioni di particolare interesse;
- gli elementi per la definizione delle caratteristiche generali delle tipologie di intervento.
Viene indicata inoltre la necessità di predisporre un quadro conoscitivo circa gli ulteriori sistemi informativi (banche dati, reti, ecc.) già presenti ed operanti in materia, e si stabilisce che le scelte tecniche relative alla strumentazione informatica andranno effettuate garantendo l'accesso di tutte le informazioni verso soggetti centrali e periferici competenti in materia di difesa del suolo.
Per quanto riguarda gli elementi conoscitivi necessari per la predisposizione dei piani di bacino, si stabilisce che le amministrazioni statali, le regioni, gli enti locali e loro consorzi, le unità sanitarie locali, gli istituti scientifici pubblici, le università, nonché gli enti pubblici economici, sono tenuti a fornire, a titolo gratuito, i dati anche in forma numerica in loro possesso.


4.2.3 Il DPR 7/1/1992
Contiene gli atti di indirizzo e coordinamento per determinare i criteri di integrazione e coordinamento tra le attività conoscitive dello Stato, delle Autorità di bacino e delle regioni, per la redazione dei Piani di bacino previsti dalla legge 183/89.
Il DPR traduce in norma il parere del Comitato nazionale della difesa del suolo, istituito dalla legge 183/89, formulato in data 13 dicembre 1990, che ha ritenuto indispensabile, per potere avviare la realizzazione delle attività conoscitive, determinare i contenuti di tale attività.
Il Comitato nazionale ha ravvisato inoltre la necessità di provvedere a formulare progressive specifiche tecniche per cui riferire l'intera attività conoscitiva per la redazione dei piani di bacino, avvalendosi dell'apporto dei servizi tecnici nazionali, del servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dei competenti servizi del Ministero dell'ambiente.
Infine il Comitato nazionale ha rilevato la necessità di utilizzare le specifiche di standardizzazione in corso di predisposizione da parte della pubblica amministrazione, con particolare riferimento al Sistema informativo nazionale ambientale, già avviato dal Ministero dell'ambiente.
Pertanto le Autorità di bacino e le regioni devono predisporre un programma per lo sviluppo, il coordinamento e la gestione delle basi conoscitive di supporto alla pianificazione di bacino. Tali attività costituiscono parte integrante del quadro conoscitivo di base che concorre alla definizione del sistema informativo nazionale previsto dalla legge 183. I programmi redatti devono essere trasmessi al Comitato nazionale per la difesa del suolo.
Nel DPR sono elencati i contenuti del programma, e sono forniti in allegato sia le modalità generali di rappresentazione cartografica della informazione disponibile e da acquisire, sia sono indicati gli elaborati cui le autorità competenti devono fare riferimento per redigere i piani di bacino.


4.2.4 La Legge 431/85
La legge stabilisce i vincoli paesaggistici per la salvaguardia e la tutela ambientale, ed istituisce la redazione da parte delle regioni dei piani paesistici.
Per una corretta interpretazione ed applicazione della legge, è di interesse la Circolare del Ministero dei beni culturali 31 agosto 1985, n.8. Come ampiamente illustrato nella circolare, con la Legge 431 la pianificazione territoriale e/o paesistica, da facoltativa diventa obbligatoria per le regioni (entro il termine perentorio del 31 dicembre 1986) e per lo Stato, che deve esercitare i previsti poteri sostitutivi in caso di inadempienza delle regioni.
La legge, individuando nel piano paesistico lo strumento giuridico indispensabile per la tutela dell'ambiente ha finalizzato a questo strumento l'uso della misura di salvaguardia della inibizione di qualsiasi trasformazione del territorio fino alla redazione dei piani paesistici. Viene inoltre introdotta l'equivalenza tra piano paesistico e piano urbanistico-territoriale, recependo la concezione dell'ambiente e del territorio, come contesto naturale e storico unitario, nonché della pianificazione economica e sociale.
Per quanto riguarda le aree soggette a vincolo paesaggistico, la legge Galasso attribuisce al Ministero dei beni culturali e ambientali la facoltà di revoca delle attribuzioni regionali per l'esecuzione di opere in aree soggette ai vincoli descritti nella stessa legge. Con l'istituzione di Ministero dell'ambiente, tali attribuzioni vengono esercitate di concerto tra i due ministeri (Legge 349/86, Art. 6 comma 8). Più in generale, per le opere incidenti su aree sottoposte a vincolo di tutela culturale e paesaggistica, il Ministro dell'ambiente provvede di concerto con il Ministro per i beni culturali e ambientali (Legge 349/86, Art. 6 comma 4).


4.2.5 Le attività estrattive
Secondo quanto stabilito anche nella Relazione sullo stato dell'ambiente del 1991, non esiste una specifica normativa in materia che costituisca un riferimento unico per quanto concerne l'aspetto ambientale, anche se nelle ultime legislature sono stati presentati numerosi progetti di legge in proposito. Lo stesso Ministero dell'ambiente ha predisposto fin dal 1987 un proprio schema di legge. Per quello che riguarda le attività estrattive, rimangono in sostanza i riferimenti principali del DPR del 14 giugno 1972 n.11 e del DPR 24 luglio 1977 n.616, che trasferiscono alle regioni le funzioni amministrative (autorizzazioni) in materia di cave e torbiere, e le leggi n.1497 del 29 giugno 1939 e n.431 dell'8 agosto 1985 che subordinano anche le attività estrattive ad un atto di assenso da parte delle regioni per tutte quelle aree gravate da vincoli paesaggistici, di cui alle stesse leggi.
La legge 616/77 stabilisce comunque che rimangono di competenza dello Stato le funzioni di indirizzo e coordinamento delle linee fondamentali di assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento all'articolazione territoriale degli interventi di interesse statale, e alla tutela ambientale ed ecologica del territorio, nonché alla difesa del suolo. Lo Stato, sempre in materia di cave e torbiere, impartisce direttive per l'esercizio da parte delle regioni delle funzioni amministrative, come ad esempio le autorizzazioni all'apertura di nuove cave, che devono essere inviate, per approvazione o annullamento, al Ministero dell'ambiente che opera di concerto con il Ministero dell'industria (vedi anche L.349/86).
Infatti, più in generale, nella stessa legge istitutiva del Ministero dell'ambiente (Art. 8, comma 3) è previsto in accordo con la Legge 431/85 che il Ministro dell'ambiente adotti con ordinanza cautelare necessarie misure provvisorie di salvaguardia ambientale, anche a carattere inibitorio di opere, di lavori o di attività antropiche; è sulla base di tali norme che dal luglio 1989 il Ministero dell'ambiente ha svolto, di concerto con il Ministero dell'industria, una funzione di controllo di legittimità e di merito, con potere di annullare le autorizzazioni regionali in materia di attività estrattiva. Notevole, tra l'altro, è stata l'azione svolta nell'inverno 1991-1992 da parte del nucleo operativo ecologico dei Carabinieri per la individuazione di numerosissime cave non autorizzate.
Sempre in materia di attività estrattive, la Legge n. 221/90 stabilisce che i titolari di permessi di ricerca o di concessione di coltivazione devono provvedere al riassetto ambientale delle aree. I requisiti dei progetti di riassetto ambientale sono stabiliti dal Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'Industria, che definiscono le modalità di verifica e controllo della esecuzione degli stessi. Analogo discorso vale per i permessi di ricerca o di concessione geotermica (L. 9 gennaio 1991, n.9).


4.2.6 L'ubicazione delle infrastrutture
Il DPR 915/82, relativo allo smaltimento dei rifiuti, stabilisce i principi per evitare il rischio di inquinamento e in generale per la salvaguardia dell'ambiente. Sono di competenza dello Stato le funzioni di indirizzo, promozione, consulenza e coordinamento delle attività connesse allo smaltimento dei rifiuti. Lo Stato predispone criteri generali (art. 4, comma b e f) sulle caratteristiche delle zone per l'ubicazione degli impianti di smaltimento e determina i criteri per il rilascio delle autorizzazioni per lo smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi.
Le regioni, facendo riferimento ai criteri indicati dallo Stato nella L.915/82 elaborano e predispongono e aggiornano i Piani di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti, individuando in particolare le zone (Art. 6, comma b) idonee alla realizzazione degli impianti di trattamento e stoccaggio rifiuti (sentiti i comuni e, nel caso, mediante accordi interregionali). In particolare, la L.441/87 (Art. 1 ter) indica che per i rifiuti solidi urbani vengano predisposti dei Piani per la realizzazione dei nuovi impianti, ai sensi della L.915/82.
Secondo quanto stabilito dalla legge n.441/87, Art. 3 comma 1, tale individuazione delle zone costituisce variante agli strumenti urbanistici, e analogamente avviene per i progetti di nuovi impianti di trattamento e di stoccaggio approvati dalla giunta regionale.
Il Ministro dell'Ambiente esamina i piani inviati dalle Regioni e vi può apportare modifiche e osservazioni (441/87 art. 3 comma 2,3). Inoltre il Ministero dell'ambiente provvede in via sostitutiva alla redazione dei piani, alla decorrenza dei termini fissati.
La L.441/87 indica che è compito del Ministro dell'Ambiente la predisposizione della mappa completa delle discariche e degli impianti di smaltimento entro un anno dalla entrata in vigore (L.441/87, Art. 6) ; le Regioni e gli enti locali sono tenuti a trasmettere i dati in loro possesso su richiesta del Ministero dell'ambiente.
I vincoli per l'ubicazione degli impianti (discariche...), relativi a vari aspetti della tipologia del Suolo, anche in relazione alle caratteristiche idrogeologiche sono dettagliatamente esposti nella Delibera del Comitato interministeriale 27 luglio 1984 (punto 4.2). Nell'Allegato al DM 559/87 (punto 3) sono indicate le norme tecniche relative ai nuovi impianti per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Fra le altre limitazioni imposte, in dipendenza del tipo di impianto, la zona deve possedere caratteristiche di stabilità geologica, non deve essere soggetta a rischio di frane, eventi sismici, cedimenti delle pareti o deformazioni di opere idrauliche di drenaggio, ecc..
La già citata Legge 441/87 prevedeva, inoltre, che ciascuna regione predisponesse ed approvasse entro il 30 aprile 1988 un piano di bonifica delle aree contaminate da rifiuti, contenente in particolare l'indicazione dei siti e le modalità di intervento per il risanamento ambientale. Le linee guida per l'elaborazione dei piani e i criteri per la individuazione dei siti sono stati successivamente emanati nel DM 16 maggio 1989. Secondo tale Decreto, i piani di bonifica devono essere trasmessi al Ministero dell'ambiente per l'esame di conformità ai criteri allegati al Decreto stesso. Attraverso riscontri qualitativi e quantitativi delle zone potenzialmente contaminate censite nel piano, le regioni provvedono a stilare un elenco di aree contaminate, aggiornato su base annua, trasmettendone copia al Ministero dell'ambiente ai fini dell'aggiornamento del settore "Bonifica di aree contaminate" del Servizio informativo nazionale dell'ambiente. I piani di bonifica integrano i piani regionali di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti.
In generale, la Legge 10 maggio 1976, n.319 stabilisce che lo Stato (Art. 2 - e) ha il compito di emanare e fornire alle Regioni norme tecniche generali per la regolamentazione, installazione ed esercizio delle infrastrutture (reti acqued./fogn./impianti depuraz.). È inoltre compito del Ministero dei lavori pubblici di concerto con i Ministri della sanità e dell'ambiente emanare norme tecniche per la installazione degli impianti di acquedotto e per lo scavo, perforazione, trivellazione, manutenzione, chiusura e riapertura di pozzi d'acqua (DPR 24 maggio 1988, n.236, Art. 8).
Sempre nel DPR 236/88 viene stabilito che il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell'ambiente provvede a fornire i criteri generali per la individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche. L'individuazione delle aree e la disciplina delle attività e destinazioni ammissibili competono alle regioni. Le aree di salvaguardia delle risorse idriche sono distinte in:
- Zone di tutela assoluta
- Zone di rispetto
- Zone di protezione
Le zone di tutela assoluta e le zone di rispetto si riferiscono alle sorgenti, ai pozzi e ai punti di presa; le zone di protezione si riferiscono ai bacini imbriferi e alle aree di ricarica delle falde.
Le zone di tutela assoluta, adibite esclusivamente a opere di presa e a costruzione di servizi, devono avere una estensione di raggio non inferiore a 10 m, ove possibile, ed eventualmente adeguatamente ampliata in relazione alla situazione locale di vulnerabilità e rischio della risorsa.
Le zone di rispetto devono avere una estensione di raggio non inferiore a 200 m rispetto al punto di captazione ed eventualmente minore, in relazione alla situazione locale di vulnerabilità e rischio della risorsa.
Le zone di protezione sono definite al fine di adottare misure relative alla destinazione del territorio interessato, limitazioni per gli insediamenti civili, produttivi, turistici, agro-forestali e zootecnici.
Per ciò che concerne le attività industriali a rischio (DPR 175/88) il fabbricante è tenuto a far pervenire ai Ministri dell'ambiente e della sanità, e quindi alla regione interessata, una notifica contenente l'attività e le sostanze impiegate nonché l'ubicazione degli impianti con le relative caratteristiche idrogeologiche e sismiche.


4.2.7 L'inquinamento del suolo
I limiti massimi di accettabilità relativi ad inquinamenti di natura chimica, fisica e biologica sono fissati dal Ministero dell'ambiente di concerto con il Ministero della sanità (L. 349/86 Art. 2, comma 14).
La disciplina dei fertilizzanti viene stabilita dalla L. 19 ottobre 1984, n.748, che contiene una classificazione di tutti i fertilizzanti ammessi, fornendo tutte le necessarie definizioni. Sempre in materia di inquinamento del suolo da fertilizzanti si devono ricordare le Ordinanze del Ministero della sanità del 3 aprile 1987, n.135, del 30 maggio 1987, n.217, e del 21 marzo 1990, che riguardano il divieto cautelativo nel territorio nazionale dell'impiego di presidi sanitari contenenti alcuni principi attivi (atrazina, molinate, bentazone), e stabiliscono divieti e prescrizioni concernenti l'impiego di alcune sostanze attive diserbanti, indicando il limite ammissibile di tali sostanze nelle acque di falda.
Per quanto riguarda i livelli di contaminazione da radioattività, questi sono stabiliti dal D.M. 4 agosto 1977.
La prevenzione, la rilevazione e lo studio dei fenomeni inquinanti, come pure il risanamento delle aree inquinate, sono a cura del servizio ARS.


4.2.8 Il territorio
Per quanto riguarda il territorio, vari sono gli argomenti di natura ambientale che devono essere tenuti in considerazione anche se non è ancora disponibile una legislazione specifica. Ciò nonostante si ritiene opportuno evidenziare tali tematiche ed indicare ove possibile i riferimenti normativi collegati, in quanto queste dovranno comunque essere considerate ai fini della elaborazione del Sistema informativo nazionale ambientale.
In primo luogo, tra le problematiche ambientali sono da mettere in evidenza quelle connesse con gli effetti prodotti dalla presenza e dalla attività antropica, già citate nel paragrafo introduttivo.
Per quanto riguarda la crescita abitativa in particolare, è importante la previsione contenuta nella legge 8 giugno 1990 n.142 per il nuovo ordinamento delle autonomie locali, che ha istituito le aree metropolitane, il cui primo compito è quello di predisporre un proprio piano territoriale.
Relativamente al problema di degrado del territorio, conseguente alla diminuzione delle culture agricole e alla trasformazione delle tecniche colturali, quale normativa di riferimento si deve ricordare la direttiva CEE n.1272 del 25 aprile 1988 sul "set aside", ovvero sulle modalità di applicazione del regime di aiuti per incoraggiare il ritiro dei seminativi dalla produzione, al fine di limitare la produzione eccedente, e di permettere il ripristino della fertilità naturale in quei suoli non più destinati alla produzione.
Per quanto riguarda la problematica ambientale relativa alla trasformazione delle coste, nella RSA sono stati individuati alcuni problemi connessi a:
- crescita edilizia lungo i litorali;
- erosione marina;
- estensione di banchine ed opere portuali;
- migrazioni turistiche stagionali.
In proposito, la L.349/86, art. 2 comma 8, stabilisce che il Ministero dell'ambiente (Servizio ARS Div. II e Servizio CN) adotta di concerto con il Ministro della marina mercantile provvedimenti relativi al Piano generale di difesa del mare e delle coste marine, di cui alla L.979/82, art. 1, approntato dal Ministero della marina mercantile.
Infine, sempre riguardo all'aspetto territoriale dell'azione del Ministero dell'ambiente, sulla base della legge istitutiva del Ministero (L.349/86, Art. 7, L.305/89, Art. 6) sono individuate le aree ad elevato rischio di crisi ambientale. Le aree per le quali sono già state portate a termine tutte le procedure tecnico-amministrative che hanno condotto alla apposita dichiarazione del Consiglio dei Ministri (sulla base di una relazione preliminare del Ministero dell'ambiente, d'intesa con le regioni interessate e previo parere delle commissioni parlamentari preposte) coprono allo stato attuale già il 5.7% della superficie nazionale.
Per tali aree vengono predisposti dal Ministero dell'ambiente d'intesa con le regioni interessate dei Piani di disinquinamento, per la cui realizzazione sono previsti specifici stanziamenti da ripartire attraverso le intese di programma con le regioni. La elaborazione e la attuazione dei piani viene effettuata in via sostitutiva dal Ministero dell'ambiente in caso di inadempienza delle regioni. Per le aree ad elevato rischio di crisi ambientale il Ministro dell'ambiente riferisce e relaziona alle commissioni parlamentari preposte.
Per quanto concerne l'erosione del suolo, è da ricordare il progetto "Valutazione delle terre a rischio di erosione del suolo nei paesi meridionali della Comunità europea", promosso nell'ambito del programma europeo CORINE (Coordination Information on Environment). Tale programma è nato dalla necessità di disporre sul territorio della Comunità europea di dati raccolti ed elaborati in modo che siano compatibili e confrontabili tra i diversi paesi.
La Legge 28 agosto 1989, n.305, riguardante il programma triennale per la tutela dell'ambiente, autorizza le spese, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente, per la formazione della carta geologica e per i successivi aggiornamenti. Tale finalità viene perseguita coordinando le attività delle amministrazioni dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli enti pubblici (Art. 14).




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