5.2 Analisi della normativa di settore Il primo tentativo di adeguare la normativa italiana in materia di rifiuti alle direttive CEE, risale all'emanazione del DPR 10 Settembre 1982 n.915 ("Attuazione delle direttive CEE n.75/442 relativa ai rifiuti, n.76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili, n.78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi"). Anteriormente a tale decreto, la normativa di settore faceva capo alla legge 20 Marzo 1941 n.366, che conteneva delle disposizioni tendenti a salvaguardare soprattutto l'igiene cittadina più che interessarsi dei problemi connessi allo stesso fattore della produzione dei rifiuti; in seguito, nessuna delle varie proposte di legge presentate in Parlamento, negli anni '60 e '70 e volte a regolare la materia, era mai riuscita ad essere approvata, con la sola eccezione del DPR 23/8/1982 n.691 che recepisce la normativa CEE n.75/439 relativa alla eliminazione degli olii usati. Nell'ambito del trasferimento di alcune funzioni dello stato alle regioni (DPR 616 del 1977), a queste ultime era stato trasferito il compito della "programmazione degli interventi di prevenzione e di controllo dell'igiene e del suolo e la disciplina della raccolta, trasformazione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed industriali". Tra le regioni che hanno dato luogo, in esecuzione della normativa suddetta, alla promulgazione di disposizioni legislative organiche nella materia, precedentemente al DPR 912/82, si segnalano il Veneto, la Lombardia, la Valle d'Aosta e la provincia autonoma di Trento. L'elemento comune di queste (poche) leggi regionali è quello di determinazioni programmatiche per la individuazione di discariche controllate in tutto il territorio regionale, con contemporaneo divieto di utilizzare discariche non autorizzate o comunque non controllate, oltre che prevedere la utilizzazione dei rifiuti per il recupero di materie prime e di energia. Nel tentativo di portare la normativa italiana di settore a livello CEE, le successive leggi statali 29 Ottobre 1987 n.441 e 9 Novembre 1988 n.475, recanti entrambe disposizioni urgenti in materia di smaltimento di rifiuti industriali, prevedono misure a favore della minore produzione di rifiuti, per il recupero di materiali e per l'uso di tecnologie innovative; prevedono inoltre la bonifica delle aree inquinate, l'istituzione del Catasto nazionale dei rifiuti e dei Consorzi Obbligatori per il riciclaggio delle batterie esauste e dei contenitori per liquidi. Nel settore dei rifiuti la normativa regionale ha molto spesso preceduto la stessa normativa nazionale, costringendo il legislatore statale a tenerne conto. Infatti l'art. 32 del DPR 915/82 recita: "Son fatte salve le prescrizioni adottate dalle Regioni e dagli enti locali in quanto compatibili con le norme del presente decreto anche se più restrittive in funzione dei piani regionali...". Il programma triennale 1989-91 per la tutela ambientale, definito nella delibera CIPE 3 agosto 1990, stabilisce alcuni programmi generali o speciali tra cui il programma SMAR per lo smaltimento dei rifiuti. Gli obiettivi di tale programma sono la riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti prodotti, il recupero di materiale ed energia dai rifiuti prodotti, il corretto smaltimento dei rifiuti, la bonifica dei siti. La direttiva CEE 91/156 del 18/3/91, non ancora recepita in Italia, modifica la precedente direttiva 75/442 soprattutto per quanto riguarda le definizioni sui rifiuti: viene data una nuova classificazione delle categorie di rifiuti, delle operazioni di smaltimento e delle operazioni che comportano una possibilità di recupero. Introduce inoltre la necessità dell'autorizzazione anche per le imprese che effettuano operazioni che comportano una possibilità di recupero.
5.2.1 Il DPR 915/82 I principi che hanno ispirato il DPR 915/82 sono: - l'attività di smaltimento dei rifiuti, attività di pubblico interesse, deve essere disciplinata attraverso programmi pubblici; - deve essere evitato ogni danno e pericolo per collettività e singoli, rispettando le esigenze igienico-sanitarie ed evitando ogni rischio di inquinamento; - le imprese e le aziende che provvedono allo smaltimento dei rifiuti devono essere a ciò autorizzate; - devono essere promossi sistemi tendenti a riciclare, riutilizzare i rifiuti e a recuperare da essi materia ed energia; - in conformità al principio comunitario "chi inquina paga", il costo dello smaltimento deve essere sostenuto dai produttori di rifiuti. Esso regolamenta tutte le fasi dello smaltimento dei rifiuti , ovvero di conferimento, raccolta, spazzamento, cernita, trasporto, trattamento, ammasso, deposito, discarica sul suolo e nel suolo; fornisce inoltre la classificazione dei rifiuti in tre categorie (rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali, rifiuti tossici e nocivi) e fissa le principali competenze delle amministrazioni statali e locali in materia. Lo Stato ha principalmente funzioni di indirizzo, promozione, consulenza e coordinamento delle attività connesse allo smaltimento dei rifiuti, attraverso il Ministero dell'Ambiente, il quale si avvale della collaborazione di organi consultivi. Alle Regioni compete la programmazione delle attività attraverso la predisposizione di piani regionali di smaltimento dei rifiuti, l'individuazione dei siti ove realizzare gli impianti di smaltimento, il rilascio delle autorizzazioni necessarie per le varie fasi dello smaltimento e ai progetti degli impianti, la promozione di adeguate iniziative dirette al recupero dei rifiuti, l'emanazione di norme integrative, la rilevazione dei dati. Ai Comuni spetta la gestione del servizio di smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani, dalla adozione delle norme che lo disciplinano fino all'effettuazione dello stesso; tale gestione è fatta direttamente dai comuni, tramite aziende municipalizzate, oppure è affidata ad enti o imprese regolarmente autorizzate. Le Province hanno principalmente compiti di controllo, e si avvalgono per esercitare tale funzione dei servizi di igiene ambientale e medicina del lavoro delle competenti Unità Sanitarie Locali, nonché dei Presidi Multizonali di Prevenzione. Particolare attenzione viene prestata dal decreto al problema dello smaltimento dei rifiuti speciali tossico-nocivi: ogni fase dello smaltimento di tali rifiuti deve essere autorizzata e presso ogni impianto che produca o smaltisca rifuti tossico-nocivi deve essere tenuto un apposito registro, il Registro di carico/scarico, sul quale annotare tutti i dati dei rifiuti movimentati dall'impianto. Attraverso l'istituzione di un Comitato Interministeriale (che esercita le competenze dello Stato in materia di rifiuti) si perviene a un'integrazione delle disposizioni "quadro", in particolare attraverso la deliberazione del 27 luglio 1984; in particolare si definisce: - l'assimilabilità dei rifiuti speciali agli urbani (accentramento in impianti comuni di trattamento rispetto alle categorie merceologiche); - la classificazione del rifiuti tossico-nocivi; - i criteri per l'attività di stoccaggio provvisorio; - l'organizzazione delle attività di stoccaggio definitivo con classificazione delle discariche; - definizione delle caratteristiche tecniche relative agli impianti di incenerimento.
5.2.2 La Legge 441/87 La legge 29 Ottobre 1987 n.441, che segue la normativa quadro rappresentata dal DPR 915/82, reca disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti e di realizzazione di nuovi impianti, con relativo DM 28 Dicembre 1987 n° 559 che ne fissa i criteri guida. Oltre a fissare i criteri generali per la elaborazione e la predisposizione dei piani regionali per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (DM 28/12/87 n° 559), si ribadisce il concetto che le regioni debbono determinare le modalità di realizzazione del piano e favorire la raccolta differenziata e le soluzioni di smaltimento che consentano il riutilizzo, il riciclaggio e l'incenerimento con recupero di energia; si ribadisce inoltre che i comuni debbono istituire obbligatoriamente il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani pericolosi, come definito nella DM del 27 Luglio 1984. La legge 441/87, che converte il decreto legge del 31 Agosto 1987 n.361, istituisce l'Albo Nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti nelle varie fasi, inteso come strumento per segnalare i soggetti autorizzati ad esercitare l'attività di smaltimento in quanto dotati di effettive competenze e impianti adeguati. Il DM 21 Giugno 1991 regolamenta le modalità organizzative e il funzionamento dell'Albo. Vengono inoltre trattati i piani regionali di bonifica delle aree inquinate, i cui criteri vengono definiti nel DM 16 Maggio 1989, e il piano nazionale di ricerca in materia di rifiuti solidi, degli scarichi liquidi, dei fanghi derivanti dalla depurazione degli effluenti e dai processi di incenerimento (DM 17 Febbraio 1989); i primi hanno l'obiettivo di individuare le aree da bonificare, le caratteristiche generali degli inquinanti presenti, le modalità dell'intervento di bonifica, ecc., mentre lo scopo del piano nazionale è quello di promuovere iniziative per la ricerca scientifica e tecnologica mediante finanziamenti ad istituti e dipartimenti universitari, istituti ed enti di ricerca pubblici e privati, ecc. Infine, allo scopo di valutare l'esatta capacità di smaltimento dei rifiuti a livello nazionale, la legge affida al Ministero dell'Ambiente il compito di predisporre una mappa completa delle discariche e degli impianti di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti speciali, compresi quelli tossico-nocivi. Il censimento degli impianti compete a regioni ed enti locali, a loro volta tenuti a trasmettere i dati su richiesta del ministero.
5.2.3 La Legge 475/88 È principalmente la legge di istituzione del Catasto Nazionale dei rifiuti speciali, speciali assimilabili agli urbani, e speciali tossico-nocivi. Tutti i produttori e smaltitori di rifiuti industriali, tossico-nocivi, nonché di rifiuti industriali assimilabili ai rifiuti urbani devono comunicare alla regione (che può delegare la provincia) una serie di dati relativi alla loro attività . Alla regione spetta anche di informatizzare i dati del catasto della cui elaborazione è incaricato il Ministero dell'Ambiente. Il DM 26 Aprile 1989 "Istituzione del Catasto nazionale dei rifiuti speciali" definisce i criteri per il rilevamento dei dati di produttori e smaltitori di rifiuti, tramite schede che devono essere compilate e spedite all'ente gestore del catasto (che può essere la regione , oppure la provincia previa delega della regione stessa) entro il 28 Febbraio di ogni anno. Per avere un quadro sempre aggiornato di domanda e offerta di smaltimento per favorire la programmazione di tale attività nonché il controllo dei conferimenti da parte dei produttori di rifiuti e la corretta attività degli smaltitori, le regioni debbono istituire i cosiddetti Osservatori regionali. Tali Osservatori sulla produzione e smaltimento dei rifiuti nonché sul recupero delle materie prime seconde, si avvalgono dei dati forniti dal Catasto dei rifiuti e dalla gestione dei Registri di carico/scarico, e devono assicurare la divulgazione dei dati sulla produzione , raccolta e smaltimento dei rifiuti e sul recupero e impiego delle materie prime seconde, compito da svolgersi tramite sistemi informativi, pubblicazione di elenchi, prospetti, sintesi, relazioni. Un altro argomento trattato dalla legge 475/89 è quello delle Materie prime secondarie, definite come "i residui derivanti da processi produttivi e che sono suscettibili , eventualmente previi idonei trattamenti, di essere utilizzati come materie prime in altri processi produttivi della stessa o di altra natura". Per favorire il recupero di tali residui, la legge avanza la proposta di istituire presso le Camere di Commercio regionali le "Borse delle materie prime secondarie e sottoprodotti", o Borse Recuperi , per consentire la costituzione di una base dati dei prodotti scartati dalle imprese ma suscettibili di riutilizzo in cicli produttivi diversi da quelli di provenienza. Il DM 26 Gennaio 1990 provvede ad una prima individuazione delle materie prime secondarie e determina le norme tecniche generali relative alle attività di stoccaggio, trasporto, trattamento e riutilizzo delle stesse (a proposito di tale decreto è comunque da rilevare che la sentenza della Corte Costituzionale 30 ottobre 1990 n.512 lo ha quasi completamente spogliato di significato, in quanto ha annullato gran parte degli articoli che lo costituivano, riconoscendo la fondatezza del ricorso presentato dalla provincia autonoma di Trento che ha contestato l'attribuzione allo Stato delle competenze sui controlli e le autorizzazioni). Il Catasto e la Mappa delle discariche e degli impianti di smaltimento (L. 441/87) sono due strumenti che consentono di realizzare il piano nazionale di smaltimento dei rifiuti industriali, ma, riconoscendo che il rilevamento dei dati su tutte le unità produttive necessita di tempi lunghi, l'art. 5 della legge 475/88 stabilisce un programma di emergenza per l'adeguamento tempestivo del sistema di smaltimento dei rifiuti industriali alle necessità immediate. Tale programma intende impostare un piano di intervento entro più brevi termini sulla base di dati estrapolati da un'analisi campionaria. Il campione di riferimento è costituito dalla imprese con più di 100 addetti in attività di esercizio da prima del Novembre 1987 (la scheda di tale censimento è dettagliata nel DM 22 Settembre 1988). Il successivo DPCM 3 Agosto 1990 definisce i criteri generali cui devono attenersi le regioni e province autonome per l'attuazione del programma di emergenza di cui sopra, individuandone i compiti, come quello ad esempio di definire un sistema integrato di aree di stoccaggio e pretrattamento, di impianti di smaltimento e di discariche. La realizzazione di nuovi impianti di trattamento e di stoccaggio dei rifiuti prevede la valutazione di compatibilità ambientale da effettuarsi a carico del Ministero dell'Ambiente (Servizio VIA). Altro argomento trattato dalla legge 475/88 è quello delle spedizioni transfrontaliere dei rifiuti prodotti in Italia: esse sono consentite verso i paesi della CEE o verso quelli appartenenti all'OCSE, mentre spedizioni verso altri paesi sono consentite solo previa autorizzazione del CIPE. La normativa connessa con il problema delle spedizioni transfrontaliere dei rifiuti, si trova nel DM 22 Ottobre 1988 n. 457 "Norme in materia di esportazione ed importazione dei rifiuti", e nel DPCM 16 Settembre 1988 "Individuazione dei siti e delle modalità per lo stoccaggio e lo smaltimento controllato dei rifiuti industriali tossici trasportati da navi". Infine, per quanto riguarda la raccolta differenziata dei rifiuti, la legge 475/88 istituisce i Consorzi Nazionali Obbligatori per il riciclaggio dei contenitori od imballaggi per liquidi in vetro, metallo e plastica, e quello per il riciclaggio delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi, che vanno ad aggiungersi al consorzio obbligatorio per gli olii esausti istituito con il DPR 23 Agosto 1982 n. 691. Tali consorzi provvedono ad assicurare il riciclaggio, anche mediante avvio alle aziende che recuperano materie prime secondarie oppure energia, promuovono l'informazione degli utenti intesa a ridurre il consumo dei materiali e a favorire forme corrette di raccolta e smaltimento.
5.2.4 La normativa regionale Per quanto riguarda il settore rifiuti, molto spesso la normativa regionale ha preceduto quella statale, come nel caso del Catasto dei rifiuti speciali e tossico-nocivi (legge n.475 di istituzione del Catasto Nazionale del 9 novembre 1988). La regione Lombardia, ad esempio, ha istituito il Catasto dei rifiuti speciali con la L.R. del 7 giugno 1980 n.94 e ne ha definito i principali aspetti attuativi con il R.R. del 9 gennaio 1982 n.3. Tale normativa intende per rifiuti speciali i rifiuti che, pur derivando da insediamenti non civili , non sono stati dichiarati assimilabili agli urbani o valorizzati (materia prima secondaria) nelle apposite tabelle approvate dalla giunta regionale. Pertanto queste due ultime tipologie di rifiuti sono in larga parte escluse dal Catasto regionale salvo alcuni obblighi a carico di trasportatori e/o smaltitori. Inoltre la categoria regionale dei rifiuti speciali raggruppa anche i tossico-nocivi mentre gli inerti, a certe condizioni, sono considerati assimilabili agli urbani. Tale sistema è improntato sulla denuncia della tipologia, delle caratteristiche chimico-fisiche e di provenienza e di ammasso del rifiuto prodotto tramite un'apposita scheda descrittiva; inoltre è obbligatorio l'invio semestrale delle copie del registro di carico/scarico agli enti gestori del catasto che, in Lombardia, sono le Province e il Comune di Milano. Con la delibera regionale del 19 marzo 1985 n.49512, sono stati individuati i codici dei rifiuti in base alla tipologia di provenienza. Rispetto alla codifica del Catasto Nazionale, in linea di massima, si possono rilevare le seguenti differenze: - non ne fanno parte alcune tipologie di rifiuti che escono dal catasto regionale, quali i rifiuti potenzialmente assimilabili ai rifiuti urbani; - il codice del rifiuto viene dato dall'Ente Gestore e non dal Produttore, come invece succede nel catasto nazionale; - i rifiuti sono distinti in base soprattutto alla loro tipologia associando un codice a ciascuna di esse, mentre in quello nazionale i rifiuti sono distinti soprattutto in base al processo di provenienza; - i rifiuti sono distinti in categorie senza individuare ulteriori sottogruppi. Molto più aderente alla normativa statale è il catasto della Regione Piemonte, istituito con la L.R. 2 maggio 1986 n.18 e successiva legge 22 febbraio 1988 n.9. Il catasto piemontese, pur essendo meno articolato di quello lombardo, ha alcune peculiari caratteristiche: - è molto più aderente allo spirito e alla legge statale; - individua i soggetti obbligati alla tenuta del registro di carico/scarico in una sola parte dei produttori (disposizione ovviamente superata dalla legge statale 475/88); - dedica una particolare attenzione all'individuazione delle aree destinate agli impianti di smaltimento. La problematica dei rapporti tra il catasto nazionale e quelli regionali è emblematica, in un certo senso , del rapporto esistente più in generale tra le leggi statali e quelle regionali. La legge statale 475/88 assegna comunque alle regioni dei compiti importanti in materia di catasto, lasciando peraltro la libertà di delegare le province a gestire i momenti decentrati come, del resto, le regioni Lombardia e Piemonte avevano già fatto. È necessario che vi debba essere, in questo caso, un adeguamento delle normative regionali sia per non assoggettare i produttori ad un doppio regime, sia per la funzionalità stessa del catasto nazionale che deve, necessariamente, essere omogeneo su tutto il territorio nazionale. La tabella II.5.2 riporta la situazione attuale dei piani regionali rispetto al completamento degli iter approvativi. Tab. II.5.2
5.1.5 La delibera CIPE del 3 agosto 1990 Il programma triennale 1989-91 per la programmazione ambientale prevede tra i programmi esecutivi il programma SMAR (smaltimento rifiuti). Gli obiettivi del programma SMAR sono la riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti prodotti, il recupero di materiale ed energia, il corretto smaltimento dei rifiuti, la bonifica dei siti. I settori di intervento riguardano : A) innovazione tecnologica dei processi produttivi finalizzata alla riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti, ivi compreso lo studio di prodotti di migliori caratteristiche e più facilmente recuperabili e riciclabili. Tali interventi dovranno essere localizzati in aree a rischio e dovranno contenere proposte operative in una delle seguenti tipologie: - riduzione degli scarti nei sistemi di produzione; - recupero e riciclo dei materiali all'interno dello stesso sistema di produzione; - recupero e riciclo di materiali all'interno di altri sistemi di produzione; - minimizzazione o sostituzione di sostanze inquinanti in sistemi di produzione (con priorità alla minimizzazione o sostituzione delle sostanze pericolose elencate nell'allegato I del DPR 915/82); - tecnologie e criteri di progettazione che aumentino la durabilità dei beni prodotti; - tecnologie di produzione che facilitino il recupero di componenti, materiali ed energia al termine del periodo d'uso dei beni; - tecnologie di produzione che consentano un significativo impiego di materiali e fonti energetiche recuperate dai rifiuti; B) raccolta differenziata; sono individuati interventi finalizzati a rendere operanti i seguenti servizi: - raccolta differenziata di scarti mercatali, con particolare riferimento agli scarti vegetali provenienti da mercati ortofrutticoli e di fiori e agli scarti animali provenienti da mercati fissi o ambulanti; - raccolta differenziata di scarti provenienti da utenze di ristorazione (escluse le strutture sanitarie); - raccolta differenziata di rifiuti provenienti da utenze domestiche, con differenziazione dello scarto in frazione umida e secca, presso contenitori opportunamente contrassegnati; - raccolta differenziata dei contenitori per liquidi in vetro, plastica e metalli; - raccolta differenziata di rifiuti ingombranti; - raccolta differenziata di rifiuti urbani pericolosi; - raccolta differenziata di rifiuti da impiegare per la produzione di energia; C) impianti di smaltimento; sono individuate le seguenti tipologie: - adeguamento e potenziamento degli impianti esistenti nei casi in cui: - sussista una situazione di fabbisogno insoddisfatto; - completamento di progetti già finanziati e in corso; - realizzazione di nuovi impianti per lo smaltimento dei rifiuti solidi con particolare riferimento a soluzioni che consentano il riutilizzo, il riciclaggio e l'incenerimento con recupero di energia, in attuazione dei piani regionali di smaltimento dei rifiuti; - realizzazione di impianti e discariche necessari alla copertura del fabbisogno programmato, e a fronteggiare le situazioni più urgenti che richiedono lo smaltimento in particolare di rifiuti tossici e nocivi; D) bonifica dei siti inquinati dai rifiuti; gli interventi devono rientrare nelle seguenti categorie: - indagini per l'individuazione dei siti da bonificare; - elaborazione dei piani di bonifica; - attuazione di bonifiche di siti inquinati con priorità per quelle aree dove sussistono gravi pregiudizi per l'inquinamento di acque sotterranee; - bonifica di aree militari anche dismesse con particolare attenzione al problema degli esplosivi; E) bonifica discariche, interventi relativi alla bonifica di discariche non regolamentate e realizzazione di discariche di tipo 2B nel Mezzogiorno.
5.2.6 La Direttiva CEE 91/156 La Direttiva CEE del 18 marzo 1991 (91/156/CEE) modifica la direttiva 72/442/CEE che istituiva a livello comunitario una regolamentazione per lo smaltimento dei rifiuti . Si definisce come rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate in allegato e di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi", e vengono stabilite le classificazioni relative alle categorie di rifiuti, alle operazioni di smaltimento e alle operazioni che comportano una possibilità di recupero. In particolare, si stabilisce per tutti i paesi della CEE la necessità dell'adozione di piani di gestione dei rifiuti che contemplino fra l'altro: - tipo, quantità e origine dei rifiuti da recuperare e da smaltire; - requisiti tecnici generali; - disposizioni generali per rifiuti di tipo particolare; - i luoghi o impianti adatti allo smaltimento; - persone fisiche o giuridiche abilitate a procedere alla gestione dei rifiuti; - stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento; - misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della cernita e del trattamento dei rifiuti. Viene inoltre fissata la necessità di un'autorizzazione da parte di tutti coloro che effettuano operazioni di smaltimento e/o operazioni che comportano una possibilità di recupero dei rifiuti, riguardante in particolare: - tipi e quantitativi di rifiuti; - requisiti tecnici; - precauzioni da prendere in materia di sicurezza; - luogo di smaltimento; - metodo di trattamento; e viene inoltre data la possibilità di dispensare dalla richiesta dell'autorizzazione alcuni particolari impianti o stabilimenti. Le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al recupero di rifiuti per conto di terzi devono essere iscritti presso le competenti autorità (albo professionale) qualora non siano soggetti all'autorizzazione precedentemente citata. Ogni stabilimento o impresa che effettua operazioni di smaltimento e/o operazioni che comportano una possibilità di recupero deve tenere un registro in cui siano indicati quantità, natura, origine, destinazione, frequenza di raccolta e modo di trattamento dei rifiuti.
5.2.7 La Direttiva CEE 91/689 La Direttiva CEE del 12 dicembre 1991 n.689 modifica la precedente Direttiva 78/319 relativa ai rifiuti tossico-nocivi, con lo scopo di ravvicinare le legislazioni degli Stati membri sulla gestione controllata dei rifiuti pericolosi (la direttiva 78/319 verrà abrogata a partire dal 12/12/1993). Si definiscono come rifiuti pericolosi: - i rifiuti precisati in un elenco da stabilirsi conformemente alla procedura prevista all'articolo 18 della Direttiva 75/442 e basato sugli allegati I e II della presente direttiva e che possiedono almeno una delle caratteristiche elencate nell'allegato III - qualsiasi altro rifiuto che, secondo uno Stato membro, possiede una delle caratteristiche indicate nell'allegato III. Inoltre, si precisa che la deroga all'obbligo di autorizzazione per gli stabilimenti o imprese che provvedono essi stessi allo smaltimento dei propri rifiuti nei luoghi di produzione, non è applicabile ai rifiuti pericolosi oggetto della direttiva 91/689.
5.2.8 Elenco dei rifiuti esclusi dalla normativa Sono esclusi dal campo di applicazione del DPR 10 settembre 1982, n° 915 e della direttiva CEE 91/156 i seguenti tipi di rifiuti: - i rifiuti radioattivi (disciplinati dalle norme del DPR 13 febbraio 1964, n° 185, e successive modificazioni ed integrazioni); - i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento di cave; - le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze utilizzate nell'attività agricola; - gli scarichi (disciplinati dalla L. 10 maggio 1976, n° 319, e successive modificazioni); - le emissioni, nell'aria, soggette alla disciplina di cui alla L. 13 luglio 1966, n° 615, ed ai regolamenti di esecuzione; - i materiali esplosivi in disuso.
5.2.9 Rapporti con altra normativa ambientale Legge 10 maggio 1976 n.319 "Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento" La legge 319/86 disciplina lo scarico dei rifiuti liquidi o idrosolubili provenienti da insediamenti produttivi, cumuli o da pubbliche fognature, nonché dei fanghi residuati dai cicli di lavorazione e dai processi di depurazione, escludendo quindi i rifiuti allo stato solido. D'altro canto la legislazione statale del settore in esame classifica il rifiuto a prescindere dalle sue condizioni fisiche. Ciò evidenzia che lo stato fisico del rifiuto è determinante, nel senso che può esserci conflitto fra le due norme solo nel caso di una immissione nell'ambiente di rifiuti convogliabili per condotta perché allo stato liquido o semiliquido. Nel caso che i fanghi siano tossico-nocivi non si applica comunque la legge 319/76 ma il DPR 915/82, come ribadito nell'art. 2 del DPR, penultimo comma. Il concetto di "scarico" della legge 319/76 (anche se viene talvolta usato, il termine smaltimento) è differente dal concetto di "smaltimento" del DPR 915/82. Nel primo caso si tratta di immissione nelle condotte, nel secondo si intende qualcosa di molto più complesso comprendente nuove fasi quali l'ammasso, il trasporto, lo stoccaggio, lo smaltimento nelle varie forme consentite dalle norme. Appare inoltre evidente che il DPR 915/82 chiude i vuoti di applicazione della citata legge, come nel caso dello scarico abusivo estemporaneo, che rientra nella pertinenza dell'art. 9 del DPR 915/82 quando avviene senza l'uso di condotte (ad esempio, un camion che scarica da un ponte in un fiume). Se invece gli stessi rifiuti (non tossico-nocivi) vengono scaricati abusivamente tramite una condotta, si applica la norma sugli scarichi. Un altro punto di contatto tra la normativa concernente le acque e quella sui rifiuti è costituita dal DPR 24 maggio 1988 n.236 "Attuazione della Direttiva CEE n.80/778 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987 n.183". In essa viene vietata la presenza di una serie di attività nel raggio di 200 metri dal punto di captazione (ma tale estensione può essere ridotta in considerazione della situazione locale). Tra le attività di cui sopra sono vietate: - dispersione, ovvero immissione nei fossi non impermeabilizzati, di reflui, fanghi o liquami anche se depurati - discariche di qualsiasi tipo, anche se controllate - stoccaggio di rifiuti - centri di raccolta, demolizione e rottamazione di autoveicoli - impianti di trattamento dei rifiuti. DPR 13 luglio 1966 n.615 "Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico" Nel caso dell'inquinamento atmosferico il rapporto con la normativa sui rifiuti è di più facile comprensione. Un punto di incontro tra le due normative avviene per quanto riguarda gli impianti di incenerimento dei rifiuti. La normativa sui rifiuti al punto 3.3 della Delibera 27 luglio 1984, impone la creazione di camere di post-combustione ed i parametri operativi da rispettare. Il medesimo punto si richiama ai limiti massimi ammissibili di prodotti inquinanti nelle emissioni previste dalle vigenti normative. Inoltre la delibera del 20 novembre 1985 ha modificato e puntualizzato il preventivo orientamento della delibera 27 luglio 1984 fornendo nuovi parametri per le camere di post-combustione e affermando: "Gli impianti utilizzati per l'incenerimento dei rifiuti restano assoggettati alla disciplina prevista dalle norme vigenti in materia di inquinamento dell'aria prodotto da impianti industriali". Legge 23 dicembre 1978 n.833 "Istituzione del sistema sanitario nazionale" Tale legge indica, all'art. 2, primo comma, punto 5, fra gli obiettivi: "la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell'igiene dell'ambiente naturale di vita e di lavoro". Inoltre gli articoli 40 e 20 della norma suindicata affidano alle U.S.S.L. compiti di prevenzione e igiene ambientale e l'art. 7 del DPR 915/82 affida alle U.S.S.L. funzioni di controllo per conto delle Province in materia di smaltimento rifiuti, funzioni che talvolta vengono svolte direttamente dalle Province stesse. Per quanto concerne il rapporto con le normative sui rifiuti esiste una netta separazione nel senso che tale normativa si occupa dei rifiuti in quanto tali e dei procedimenti connessi (controlli, concessione di autorizzazioni, ecc.), mentre compete alla legge 833/78 il controllo su tutto ciò che ha rilevanza sulla tutela dell'igiene e della salubrità dell'ambiente in senso generale.
Legge 8 agosto 1985 n. 431 "Disposizioni urgenti per la tutela di zone di particolare interesse ambientale" Tali norme relative alla difesa delle zone di particolare interesse ambientale che richiedono per gli impianti di smaltimento uno studio di valutazione di impatto ambientale (VIA), sono spesso in conflitto con la normativa sui rifiuti che dichiara di pubblico interesse gli impianti di smaltimento. L'unica strada praticabile al momento è quella della diminuzione dell'impatto ambientale di tali opere tramite le opportune tecnologie al fine di attenuare o abolire i disagi delle popolazioni. Ciò sotto tutti gli aspetti: da quello estetico alle emissioni maleodoranti, all'inquinamento da rumore. Tali conflitti sono peraltro il risultato della mancanza, in passato, di una qualsiasi politica di programmazione del territorio che destini le aree più idonee ad attività spesso incompatibili con le esigenze della popolazione e dell'ambiente paesaggistico.
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