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Giacomo Alberione, SSP
Sacerdote, ecco la tua meditazione

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2. La misura della temperanza.

       [344]  2. La misura della temperanza secondo la fede e la retta ragione si deduce da due capi: dal bisogno della vita presente, e dall’indifferenza spirituale riguardo all’uso del cibo e del tatto, in modo che l’uomo liberamente elegga ciò che è mirabilmente esposto da S. Ignazio di Loyola nel suo libro degli Esercizi spirituali: «L’uomo fu creato per questo fine: perché loda il Signore Dio suo, lo riverisca, lo serva ed infine si salvi. Le varie cose che sono sulla terra furono create per l’uomo, onde aiutarlo a raggiungere il fine per cui lui stesso venne creato. Di qui ne consegue che di tali cose bisogna usare oppure da esse astenersi in quanto aiutano od impediscono il raggiungimento del fine. Perciò noi dobbiamo, senza alcuna diversità, essere indifferenti verso tutte le cose create, in quanto sono soggette al nostro libero arbitrio e non sono proibite. Così, per quanto è da noi, non dobbiamo cercare più la salute della malattia, le ricchezze più che la povertà, l’onore più che il disprezzo, vita lunga più che vita breve, ma soltanto dobbiamo tra le opposte cose scegliere quelle che ci conducono al fine,



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e queste sole desiderare». S. Ignazio, nelle addizioni, al numero dieci, ammonisce che ognuno si imponga qualche penitenza, anche esterna: «In primo luogo riguardo al vitto: si sottragga qualche cosa non solo del superfluo (il che sarebbe temperanza e non penitenza), ma anche dei necessari alimenti. Più si sottrae, tanto meglio; avuto però riguardo sia a non guastare il fisico, e sia alla debolezza ed alla malattia. In secondo luogo, riguardo al sonno ed al modo del riposo, sottraendo non soltanto le cose soffici e comode, ma anche quelle necessarie, in quanto si può fare senza grave pericolo per la vita o per la sanità. Nessuno deve privarsi del sonno necessario, se non per un po’ di tempo soltanto, affine di moderare l’abuso che si può aver fatto del sonno».

 




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