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Giacomo Alberione, SSP Sacerdote, ecco la tua meditazione IntraText CT - Lettura del testo |
3. Nel confessore si richiede poi prudenza.
[557] 3. Nel confessore si richiede poi prudenza. L’ufficio di confessore abbonda di molte difficoltà e pericoli: «Il governo delle anime è l’arte delle arti» (S. Gregorio il Grande). Affinché il confessore non porti pregiudizio ai penitenti, o a se stesso od al bene comune, si richiede una grande prudenza: a) prudenza nello scegliere le opinioni approvate, in modo di salvare da una parte le anime, e dirigere dall’altra i penitenti pii nella via della perfezione; b) prudenza per non coartare nei suoi penitenti la libertà. Peccherebbe difatti quel Sacerdote che non concedesse facilmente licenza ai suoi penitenti di confessarsi da altri (cf Homo Apostolicus, tr. ultimus, n. 44); c) prudenza nell’ascoltare la confessione delle donne. Si richiedono quelle cautele suggerite dai maestri di spirito e dalla Chiesa consigliate o prescritte. Senza una vera necessità, non si ascoltino le donne prima dell’aurora o dopo il crepuscolo; quando si devono ascoltare in questi tempi straordinari, vi sia sempre un testimonio a vista. Se le donne sono giovani, il confessore sia piuttosto austero e breve che non affabile o familiare. Anche fuori di confessione si eviti ogni familiarità colle penitenti. Non sono meno da temersi quelle donne che si dicono pie, perché, per testimonianza di S. Tommaso «più sante e giovani sono, maggiormente allettano la mente»; d) prudenza a non concedersi particolarità, a non alzare troppo la voce, a non parlare dei difetti altrui, a non ammettere con facilità quelli che si scusano o che accusano gli altri, ecc.; e) se poi qualche anima richiede una cura maggiore, ricordi il Sacerdote che altro è la cura ed altro l’attaccarsi ad una persona fino a trascurare le altre; f) prudenza nell’interrogare per integrare le confessioni, nell’ammonire ed istruire il penitente, nel differire qualche volta l’assoluzione, nel custodire il sigillo sacramentale.
[558] Si richiede inoltre bontà di vita. «Si abbiano confessori idonei: ecco una completa riforma di tutti i cristiani” (S. Pio V). «Per bontà non si deve intendere semplicemente l’abituale stato di grazia, ma bensì una bontà positiva manifestata dall’ufficio di confessore... Questa bontà non viene raggiunta da chi non ha abituale la preghiera, né fa la meditazione quotidiana; infatti nessuno può ottenere per altra via la luce e le grazie necessarie per un così formidabile ufficio, che, come si suol dire, è spaventoso anche alla potenza degli angeli” (S. Alfonso, Praxis Conf., n. 1).
«Non vi è dubbio che se tutti i confessori avessero quella scienza e quella bontà di costumi richiesta da così importante ministero, né il mondo sarebbe deturpato da un mare di peccati, né l’inferno si riempirebbe di tante anime di battezzati» (S. Alfonso, Praxis Conf., n. 1). Abbondi la carità che è paziente e benigna; sia grande anche e sincera. Essa differisce completamente da quella esecrabile e diabolica malizia che inclina a cose turpi. La sollecitazione al male è un sacrilegio ed un turpe abuso della confessione.