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Giacomo Alberione, SSP San Paolo - Bollettino SSP IntraText CT - Lettura del testo |
1) Amare Dio con tutta la mente, le forze, il cuore: è il primo e principale precetto. Ma ve ne ha un secondo, che è simile al primo: «amerai il tuo prossimo come te stesso». E Gesù ci propose, come vero amante del prossimo, un Samaritano, che non era ebreo, ma un «alienigena».
2) L'educazione è abituare il giovane ad usare in bene la propria libertà: e di quest'uso renderà conto a Dio per riceverne premio o castigo.
La vita nostra non è destinata ad essere un peso per molti, una festa per pochi; ma è per tutti un impiego, per il proprio perfezionamento e per utilità del prossimo: perciò la socievolezza.
3 ) L'uomo è naturalmente ordinato da Dio a vivere in società. Infatti non potrebbe vivere nell'isolamento, non bastando da solo a raggiungere il suo perfezionamento fisico, morale ed intellettuale. Dio ha dato all'uomo l'inclinazione ad integrare la sua insufficienza, associandosi ad altri, sia nella vita domestica che civile e religiosa. E questo è diritto naturale, che nessuno può violare.
4) La società in generale, è un insieme di individui, considerati nel loro grado sociale, uniti per uno scopo comune, da conseguirsi con l'unione delle forze, sotto il governo di una legittima autorità. È una unità organica (non meccanica) maturata dalla ragione e dalla fede, cresciuta sotto il governo della Provvidenza per il bene dei singoli.
STUDIO DELLA SOCIOLOGIA
Oggi, più che nei tempi passati, è necessario uno studio sufficiente della sociologia. La
nostra vita si svolge in parte notevolissima in società; ed è nella società che si deve esercitare l'apostolato e santificare le relazioni.
La socievolezza vuole una convivenza serena; ma insieme vuole una convivenza benefica ed apostolica anche nella più ampia famiglia umana. «Vocavit nos non solum ex Judæis, sed etiam ex gentibus» (Rom. IX, 24).
Gli Istituti religiosi, si chiamino Famiglie, o pie Società, o Congregazioni, sono sempre di natura sociale avendo gli elementi costitutivi, cioè: fine, mezzi, autorità, membri. L'erezione di istituti religiosi, corrispondenti ai bisogni dei tempi, e diretti al perfezionamento dei membri con mezzi sociali, è un diritto inviolabile della Chiesa e da essa sempre usato.
Il fine del perfezionamento è comune a tutti gli Istituti; moltissimi hanno pure un fine di apostolato nella Chiesa, e per il conseguimento dispongono dei loro mezzi. Hanno poi un'autorità, che dirige le persone e coordina le loro forze al fine od ai fini comuni .
Di qui scaturiscono due necessità assolutamente indispensabili, cioè: l'obbedienza e la carità. La prima è come fondamento dell'edificio, la seconda come mezzo di unione tra tutti i membri.
Vale anche il «Domus Dei credendo fundatur, sperando erigitur, amando perficitur».
I due fini della Pia Soc. S. Paolo sono espressi nei due primi articoli delle Costituzioni.
Dovendo l'uomo conseguire un doppio perfezionamento, naturale e soprannaturale, vi è una duplice categoria di società: società di
ordine naturale e società di ordine soprannaturale. Alla prima appartengono la società domestica, la società civile, ecc; alla seconda: la Chiesa, gli Istituti religiosi, ecc.
Con la nascita l'uomo acquista il diritto di entrare a far parte delle società naturali; con la seconda nascita, che avviene nel battesimo, acquista il diritto di entrare in società soprannaturali quanto al fine ed ai mezzi.
La Chiesa è società soprannaturale nel fine, che è l'eterna beatitudine; e nei mezzi, che sono: la fede, i sacramenti, le virtù cristiane; l'ubbidienza ai Pastori, in modo particolare al Papa.
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La socievolezza per il Paolino, si richiede:
rispetto alla vita comune, nella famiglia religiosa:
verso i fratelli, i Superiori, gli inferiori;
rispetto alle altre Famiglie religiose;
rispetto alle altre Congregazioni paoline;
rispetto ai fedeli singoli o raccolti in collettività;
rispetto ai concittadini, sudditi e governanti;
rispetto a tutta la famiglia umana;
rispetto alla Chiesa intera: militante, purgante, trionfante.
La socievolezza è qualità essenziale per chi vuole entrare in una società tanto più se società religiosa. Essa costituisce un segno positivo di vocazione, come la non socievolezza costituisce un impedimento fondamentale ed indizio chiaro di non vocazione. È detto chiaramente che in un istituto religioso si tende alla perfezione, oltreché per i voti, «con l'ordinare la propria vita, nella vita comune a norma dei Sacri Canoni e delle Costituzioni». È perciò sorgente di meriti e mezzo di santificazione. Per questo tutto è comune: orario, studio, apostolato, pietà, vitto, vestito, ecc. (articoli: 1-133-136).
Richiamare gli articoli 169, 170: «Ricordino i Religiosi che tutto il bene ha principio e compimento nella carità. La carità è paziente e benigna, non è invidiosa, non è insolente, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non s'irrita, non pensa male, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». «Perciò tutto sia fatto nella carità, osservando con sollecitudine il suo ordine, come conviene a persone sante».
Chi vuole entrare nell'Istituto deve avere un carattere socievole. Nell'ultimo numero del «San Paolo» si diceva:
un carattere mite, socievole, ottimista: parte di natura, parte di educazione; una mente larga, premurosa, comprensiva, inclinata ad interpretare favorevolmente;
una disposizione retta verso i poveri, i sofferenti, i superiori, gli inferiori;
l’osservanza delle regole di cortesia, galateo, sottomissione, gentilezza; ovunque, ma specialmente stando in compagnia;
la disposizione a perdonare i torti ed i mali e ricordare i benefici ricevuti, senza rinfacciare le colpe, umiliare l'inferiore ecc.
l'essere sempre uguali e semplici, senza orgoglio nella fortuna e nell'onore; ma senza avvilimento nelle contraddizioni».
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Escludere perciò: i caratteri strani, sofistici, apatici, egoistici; i religiosi per disperazione, gli eccentrici; gli isterici, eccessivamente nervosi, squilibrati; gli25 psicopatici, i sempre scontenti, i puntigliosi; gli scontrosi, oscuri, vendicativi, attaccabrighe; gli ineducabili, irriducibili, dispettosi, irrequieti; e così quelli che ebbero in famiglia tali infermità e di una certa gravità, o altre malattie ereditarie, per es. affetti da pazzia.
La socievolezza, come ogni vera virtù ed ogni vera pietà, si fonda sopra la fede.
Per la fede vediamo in tutti gli uomini dei figli di Dio e dei Fratelli nel «Padre nostro».
Per la fede vediamo in tutti delle anime a cui siamo debitori di verità, di edificazione, di preghiera.
Per la fede vediamo come Gesù Cristo amò tutti, tanto più i bisognosi, i peccatori, i sofferenti. Egli non ebbe distinzione di carattere puramente umano; ma solo di carattere umano-divino.
Per la fede avremo un nazionalismo giusto, vedremo sempre nella nazione particolarmente le anime e la loro salvezza; mai nazionalismo di ispirazione contraria al Vangelo, e di carattere politico o economico. Si desidera che tutto si conformi alle dottrine pontificie: leggi, insegnamento, morale, pratica della religione.
Per 1a fede vedremo nei membri dell'Istituto dei Fratelli tali per il titolo nuovo della professione.
Per la fede si vedono negli uomini dei compagni di viaggio verso l'eternità e se ne deducono i doveri di mutuo aiuto.
Per la fede si comprendono: il Cuore del Divino Maestro che predica ed invita tutti gli uomini a sé: «venite ad me omnes»; S. Paolo «doctor gentium» che nel dilatato suo cuore portava tutti gli uomini; la Regina Apostolorum che è26 guida a tutti i figli del Padre Celeste, missionari, predicatori, apostoli.
SOCIEVOLEZZA NELL’INTIMITA’ RELIGIOSA
Nell'ambiente in cui viviamo abbiamo Fratelli che tendono alla medesima méta, vestono la nostra divisa, partecipano alla vita comune, condividono gioie e dolori, sono animati dai medesimi propositi e seguono la nostra via, per guadagnarsi la corona di gloria.
Questa comunione d'intenti deve stringerci con vincoli di carità e fare delle case religiose soavi oasi di pace, in questa misera terra, incessantemente lacerata dalle passioni, dagli interessi e dagli intrighi umani. Quello spirito di fratellanza e divina unione che legava la prima comunità, il collegio apostolico, deve aleggiare tra di noi così che rallegri i nostri cuori, faccia splendere la serenità sui nostri volti e porti nelle anime nostre quel senso di calma, che tanto contribuisce a favorire la nostra unione con Dio, scopo immediato della vita religiosa. Dove manca non può darsi raccoglimento, preghiera, sincero amore al proprio stato e fervore di vita spirituale.
Inoltre l'uomo, di sua natura socievole, si trova bene solamente ove gli sia facile formarsi un ambiente in cui questo suo istinto possa essere appagato. Quando egli lascia il focolare domestico, caldo di puro affetto, in qualsiasi ambiente ove venga a trovarsi prova un prepotente bisogno di crearsi una cerchia di persone amiche, che lo comprenda, che lo incoraggi, e che gli siano appoggi sicuri nelle immancabili tempeste della vita. A questa innocente debolezza umana non riescono a sottrarsi neppure i più grandi santi. I loro epistolari intimi ne sono una prova lampante.
Perciò il religioso che passi i suoi giorni in una comunità, ove trova cuori aperti, anime generose e benevoli, spiriti nobili e delicati, vivrà felice e sereno e potrà constatare che davvero «nulla in questo mondo rappresenta sì bene l'ammirabile assemblea della Gerusalemme celeste, quanto una società religiosa perfettamente unita nella benevolenza. Nostro Signore è in mezzo ad essi; il luogo che abitano è “la porta del cielo”».
Ma il demonio, nemico delle anime religiose e, per eccellenza, spirito di disordine, trova mille vie per entrarvi, turbarne la pace, e seminarvi discordie. Il maligno sa che là, ove non fiorisce concorde armonia e fraterna comprensione, non vi possono essere amore di Dio, delicatezza di coscienza, spirito di mortificazione, amore sconfinato al proprio stato; e perciò si arrovella in tutti i modi per esercitare la sua opera disgregatrice nelle comunità e renderle terreni di disunioni, di incomprensioni, e di malintesi di ogni genere. Si vale abilmente di tutte le debolezze umane, che sono inevitabili, anche tra anime eroiche.
Nella comunità religiosa più perfetta che possiate immaginare, voi troverete immancabilmente i caratteri più opposti e ciò ve lo spiegate con tutta facilità. La varietà delle disposizioni dei genitori che offrono alla religione i loro figli, le caratteristiche delle singole regioni che danno all'indole tinte tutte proprie, l'indefinita diversità di umori, fanno sì che si trovino assieme nella medesima casa dal mattino alla sera, in ogni ora del giorno, sempre vicino gli uni agli altri, temperamenti calmi ed irrequieti, riflessivi e leggeri, sereni ed ombrosi, equilibrati e fantastici ecc. Un secolare che si trovasse a convivere con una persona di carattere inconciliabile col suo, risolverebbe il problema cambiando dimora od impiego; ma un religioso questa via di scampo non la può sempre avere aperta. Egli potrebbe trovarsi inevitabilmente nel medesimo ufficio con un confratello di indole o di vedute completamente opposte alle sue. Finché siamo su questa povera terra ci dobbiamo rassegnare a vivere tra debolezze e miseriole; solamente in Cielo troveremo tutti perfetti. Il demonio però, si vale astutamente di queste fragilità umane, le fa cozzare le une contro le altre, riesce molte volte a farne sprigionare scintille ed incendi di discordia. Sconvolge fantasie, scalda passioni, intorbida anime, rende sospettosi, ingrandisce inezie e tanto si agita e disorienta che riesce, in molti casi, a togliere la pace, la fraterna armonia, la mutua fiducia, ed a rendere pertanto pesante il dolce giogo della vita religiosa per dei nonnulla e per bagatelle da bimbi. Ove cresce tale zizzania, soffoca la virtù, si affievolisce ogni slancio per il bene ed intisichisce la vita spirituale.
Perciò esclama S. Agostino: «miserabile quel monastero, in cui prevale lo spirito di parte» (Serm. 256, de temp ). Può a proposito ricordarsi la parola di S. Paolo Apostolo (I Cor. 1, 10): «Obsecro vos, fratres, per nomen Domini Nostri Jesu Christi: ut idem dicatis omnes, et non sint in vobis schismata».
Peccati contro la socievolezza:
1) Rompere l'unità spirituale tra Fratelli; massime con l'autorità e chi la rappresenta. L'unità è il «bonum sociale»; disgregare le forze è cosa contraria alla stessa natura della società; che danneggia tutti ed attenta alla stessa sua esistenza. Ciò può anche avvenire con la critica sregolata.
2) Sottrarre le forze, prendendosi uffici fuori della Congregazione o trascurare i doveri propri: come ministeri, apostolati, scuole. Ciò avverrebbe prendendo impegni con fratelli e sorelle della famiglia o parenti ed amici; contraendo inutili relazioni estranee; od anche con mostrarsi «tardus ad communia et ad singularia promptus».
3) Non unificare le forze di tutti al fine; o non provvedere ai singoli nei loro bisogni spirituali e materiali.
4) Rifiutare senza giusti motivi gli uffici assegnati, o trascurarli. Così pure aspirare ad uffici per27 cui non si ha capacità, tanto più se già dimostrata da esperimenti.
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All'incontro: si procura il «bonum sociale» che è l'unità, quando negli uffici ed occupazioni si concentrino le energie dell'intelligenza, della volontà, del cuore, del corpo: perché sia bene interpretata la volontà dei superiori e compiuta nel miglior modo.
Pericoli contro la socievolezza:
1) Occupazioni estranee alla Società, affetto a persone pericolose, la smania di uscire, visitare; o tenere relazioni epistolari o personali fuori della Congregazione, occultare ai superiori che, si sa, non le permetterebbero.
2) Amicizie particolari; simpatie od antipatie; tante gentilezze riservate ad estranei, e durezza o grossolanità, indifferenza, indelicatezza con i Fratelli anche nei momenti di afflizione o di gioie.
3) Le mancanze contro i segreti naturali, o di ufficio.
4) L'amore proprio che genera le invidie e gelosie; e distrugge o ritarda l'azione dei fratelli e dei superiori. L'invidia è cosa troppo comune e troppo deleteria; basta ricordare Caino ed Abele, la storia di Giuseppe e suoi fratelli, ecc.
5) Vi è un pericolo proveniente da coloro che sono facili ad intromettersi dove non sono né richiesti, né hanno incarichi, da chi parla e
non opera; da chi distribuisce facilmente consigli, ma non ne accetta.
6) Come anche è facile distaccarsi dallo spirito quando si cercano facilmente pareri da estranei e si perdono i meriti della propria vocazione senza farsi i meriti dell'altra vita. Non si verifichi quanto lamenta Geremia dei suoi tempi: «Abbandonate le sorgenti di acqua viva, si sono scavate delle cisterne, e cisterne sconnesse, che non possono contenere le acque». La ragione e la fede insegnano ben altri rimedi ai mali, dei quali siamo causa noi stessi per lo più.
7) Vi può essere la tentazione di ricorrere a superiori lontani cercando di ingannarli per non obbedire ai superiori vicini, oppure seminare la sfiducia su fratelli o superiori con sorde critiche fatte vilmente contro chi non può difendersi. Vi sia chi fa l'avvocato degli assenti: è carità squisita. Chi lavora intensamente e pratica l'attende tibi difficilmente, e solo per motivi di carità, sta ad osservare gli altri: eccetto il caso che ne abbia l'ufficio.
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Sono da considerarsi le parole di S. Paolo ai Filippesi: «È giusto ch'io riguardo a voi nutra questi sentimenti, perché vi ho nel cuore come coloro che, e nelle mie catene e nella difesa e nella conferma del Vangelo, avete partecipato alla mia gioia. Mi è infatti testimone Iddio, in qual modo io ami tutti voi nelle viscere di Gesù Cristo. E questo io domando, che la vostra carità abbondi sempre più nella conoscenza ed in ogni finezza di discernimento» (I, 5-11).
SOCIEVOLEZZA NELLA CHIESA
In ordine alla Chiesa ed alla cristianità, fondamento particolare della socievolezza è la dottrina del Corpo Mistico. Non si tratta solo di relazioni esterne: ma tra i membri vivi della Chiesa circola lo stesso sangue di Gesù cioè la stessa sua vita, che tutti anima: così da risultare un solo corpo con molte membra aventi per capo Gesù Cristo stesso. Formiamo la Chiesa.
E questa Chiesa risulta delle tre parti: militante, purgante e trionfante, che formano l'unica Chiesa: o in viaggio sopra la terra, o già arrivata al porto nell'eternità.
La socievolezza ci fa riguardare in ogni fedele (che almeno appartenga all'anima della Chiesa) un fratello di sangue (il sangue di Gesù Cristo).
La socievolezza vuole: con il Papa relazioni di amore, obbedienza, venerazione; in proporzione ugualmente con i Vescovi e con i Superiori ecclesiastici.
Con i fedeli viventi: soprattutto apostolato delle edizioni. Con esso viviamo con i lettori, gli spettatori, gli uditori. Ad essi dobbiamo portare luce, conforto, incoraggiamento. Il lettore deve essere trattato bene, con comprensione e bontà.
I rapporti di amicizia, perché siano tali, devono essere chiari. Chiare le condizioni per accettare i giovani; chiare le offerte di abbonamento o dei libri; chiari gli sconti. Siano puntuali le spedizioni e si esigano fermamente e per tempo i pagamenti. Patti chiari, amicizia lunga. I debitori non amano i creditori, si allontaneranno; e l'apostolato ne perderà. Dare ed esigere con fermezza.
Abbiamo delicatezza e riguardo specialmente con i piccoli: per la stampa, il cinema, la radio e la televisione. Sopra questi punti occorre molta vigilanza. Vigilanza pure su quanto si distribuisce ai giovani nelle tipografie per composizione.
Qui vengono da considerarsi le relazioni con i genitori e parenti dei Nostri, con gli scolari, gli aspiranti, gli uditori, i penitenti, ecc. Consultare Autori che ne parlano distintamente.
Soffrire con chi soffre, godere con chi gode; specialmente soffrire quando la Chiesa soffre; godere quando essa gode. Vivere in unione di mente, volontà e cuore col Papa: significa partecipare alla universalità delle sue premure.
Nessuno diviene paolino per una nazione determinata, tanto meno per la propria; ma per andare in quella parte in cui si verrà destinati per i fini della gloria di Dio e del bene delle anime. Siamo cittadini del regno di Cristo, che è la Chiesa, ed in qualunque nazione siamo, apparteniamo sempre ad essa: poiché la Chiesa è cattolica. E tutti siamo cittadini romani: poiché la Chiesa è romana.
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Ovunque i Nostri ricevano l'ospitalità e la accoglienza fraterna; ma insieme, ovunque si va, si eviti di gravare con troppe pretese sopra i fratelli; si eviti, in quanto possibile, di recare disturbi. Non si faccia circolare il male da una casa all'altra, ma il bene! si edifichi, invece, con l'esempio di osservanza religiosa.