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Giacomo Alberione, SSP San Paolo - Bollettino SSP IntraText CT - Lettura del testo |
L'uomo doveva avere un'unità o integrità: cioè le potenze dell'uomo – mente, volontà, sentimento – si dovevano integrare. La ragione conosceva il bene, quantunque con luce pallida e fredda, che il sentimento però doveva scaldare e far risplendere ed entusiasmare, onde dal vero, dal bello, si ottenesse il bene. Così, vero, bello e buono, oltrechè costituire un'unica cosa in sé sotto tre aspetti (convertuntur), anche nell'uomo avrebbero trovata una pratica unità nelle sue tre unite facoltà.
Il peccato ruppe l'unità: ed ora vi è grande scompiglio. La ragione doveva governare il cuore ed il cuore far risplendere di amore la ragione; e la volontà, rimossi gli ostacoli delle passioni e fortificata dalla ragione, avrebbe fatto il bene: ecco l'unità.
La grazia divina contribuiva ed elevava mirabilmente questa unità; così che l'uomo rappresentava l'Unità e Trinità di Dio; «fatto ad immagine e somiglianza» di Lui, era trino nelle sue facoltà (mente, sentimento, volontà) ed uno nella sua attività interiore ed esteriore.
Rotta l'unità, ragione e cuore spingono la volontà per vie opposte: la ragione agisce da sé; l'amore incontrollato accende i suoi fuochi torvi nei sensi e consuma l'organismo; e la volontà, senza la grazia di Dio, è dal cuore trascinata in sentieri fangosi; ecco le due leggi, della carne e dello spirito, ecco «non quod volo bonum, sed quod nolo malum hoc facio».
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