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Giacomo Alberione, SSP San Paolo - Bollettino SSP IntraText CT - Lettura del testo |
Si chiama così per una totale consacrazione di sé al culto e al servizio di Dio; un continuo omaggio reso alla sovrana eccellenza di Dio. È proprio di quella grande virtù morale, che è la religione; per cui giustamente questo stato si dice religioso.
Se si parla di perfezione, lo stato religioso è in sé più perfetto dello stato ecclesiastico, per i mezzi maggiori con cui tendere alla perfezione, che sono i voti di povertà, obbedienza e castità. Anche più stretto ed esplicito è l'obbligo di praticare questa perfezione.
Questo, se si tratta del religioso laico. Se si tratta del religioso sacerdote, oltre la vita religiosa, possiede i poteri e la dignità dello stato sacerdotale.
Vita contemplativa? vita attiva? vita mista?
La risposta è, secondo S. Tommaso d'Aquino:
a) presa in
sé, la vita contemplativa è più perfetta, in quanto la vita contemplativa
ha per oggetto diretto Dio stesso;
mentre la vita attiva,
invece, giunge a Dio attraverso il prossimo, cioè in parte indiretta.
b) in casi particolari, però, attese le necessità della vita presente, possono darsi circostanze in cui la vita attiva è da preferirsi alla vita contemplativa.
c) Unite la contemplativa con l'attiva, è da preferirsi la vita mista; infatti «come è più perfetto illuminare che risplendere soltanto, così è più perfetto comunicare anche agli altri le cose contemplate, che tenerle solo per sé».
È più perfetta la vita mista perché così scelta dal Divino Maestro; ed egli la insegnò così agli apostoli; e certamente il Divino Maestro scelse il più perfetto (II-II, q. 188, a. 6).
Nel desiderio di dare la maggior gloria a Dio, salvare le anime, arricchirsi del massimo dei meriti: è stata scelta la vita mista da noi. Vi sono pure altri vantaggi: più facilmente tutti i talenti, naturali e soprannaturali, vengono impegnati nella duplice carità: «amore a Dio e amore al prossimo».
Inoltre vi è il legame dei santi voti come mezzi per raggiungere la perfezione. Per il distacco dai beni materiali, dalle tendenze della carne e della propria volontà, l'anima s'eleva più facilmente a Dio; come l'aquila spicca il suo volo verso l'alto dei cieli.
Da «La Civiltà Cattolica» del 4 dicembre 1965, nell'articolo «Struttura del Sinodo dei Vescovi» è scritto:
«La presenza nel “Sinodo” di rappresentanti religiosi è da ritenersi opportuna e, in qualche maniera, necessaria. Infatti, i religiosi costituiscono nella Chiesa una parte singolare, non solo a motivo del loro numero, ma soprattutto per l'importanza del loro stato nella vita della Chiesa, e per l'attività da essi esercitata in ogni sfera della vita ecclesiastica. Di fatto la vita e attività dei religiosi hanno bisogno di essere sempre organicamente inserite nella vita e nell'attività della Chiesa, affinché ne possano incrementare i beni comuni. Per tale ragione è veramente utile che i religiosi siano rappresentati nel “Sinodo”».
Il vero senso della vita religiosa
Risulta dal Decreto «Rinnovamento della vita religiosa»:
«I membri di qualsiasi istituto ricordino
anzitutto di aver risposto alla divina chiamata con la professione dei consigli
evangelici, in modo che essi, non solo morti al peccato (cfr. Rm 6, 11), ma
rinunziando anche al mondo, vivano per Dio solo. Tutta la loro vita, infatti, è
stata posta al servizio di Dio, e ciò costituisce una
speciale consacrazione che ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale, e ne è una espressione più perfetta.
Avendo poi la Chiesa ricevuto questa loro donazione di sé, sappiano essi di essere anche al servizio della Chiesa.
Tale servizio di Dio deve in essi stimolare e favorire l'esercizio delle virtù, specialmente dell'umiltà e dell'obbedienza, della fortezza e della castità, con cui si partecipa allo spogliamento di Cristo (cfr. Fil 2, 7-8), e insieme alla sua vita mediante lo spirito (cfr. Rm 8, 1-13).
I religiosi adunque, fedeli alla loro professione, lasciando ogni cosa per amore di Cristo (cfr. Mr 10, 28), lo seguano (cfr. Mt 19, 21) come l'unica cosa necessaria (cfr. Lc 10, 42), ascoltandone le parole (cfr. Lc 10, 39), pieni di sollecitudine per le cose sue (cfr. 1 Cor 7, 32).
Perciò è necessario che i membri di qualsiasi istituto, avendo di mira unicamente e sopra ogni cosa Iddio, congiungano tra loro la contemplazione, con cui siano in grado di aderire a Dio con la mente e col cuore, e l'ardore apostolico con cui si sforzino di collaborare all'opera della Redenzione e dilatare il Regno di Dio.
Coloro che fanno professione dei consigli evangelici, prima di ogni cosa cerchino ed amino Iddio che per primo ci ha amati (cfr. 1 Gv 4, 10), e in tutte le circostanze si sforzino di alimentare la vita nascosta con Cristo in Dio (cfr. Col 3, 3), donde scaturisce e riceve impulso l'amore del prossimo per la salvezza del mondo e l'edificazione della Chiesa. Questa carità anima e guida anche la stessa pratica dei consigli evangelici.
Perciò i membri degli istituti coltivino con assiduità lo spirito di preghiera e la preghiera stessa, attingendoli dalle fonti genuine della spiritualità cristiana. In primo luogo abbiano quotidianamente fra le mani la Sacra Scrittura, affinché dalla lettura e dalla meditazione dei Libri Sacri imparino “la sovreminente scienza di Gesù Cristo” (Fil 3, 8). Compiano le funzioni liturgiche, soprattutto il sacrosanto mistero dell'Eucaristia, con le disposizioni interne ed esterne volute dalla Chiesa, ed alimentino presso questa ricchissima fonte la propria vita spirituale.
In tal modo, nutriti alla mensa della divina Legge e del sacro altare, amino fraternamente le membra di Cristo; con spirito filiale circondino di riverenza e di affetto i pastori; sempre più intensamente vivano e sentano con la Chiesa e si mettano a completo servizio della sua missione».