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Giacomo Alberione, SSP Ut Perfectus sit Homo Dei IntraText CT - Lettura del testo |
3. L’ambiente ecclesiale in cui l’opera si inserisce
La data da considerare leggendo questi testi è l’aprile 1960.
Angelo Giuseppe Roncalli (nato il 25 novembre 1881, qualche anno prima di Don Alberione) era già papa dal 28 ottobre 1958, con il nome di Giovanni XXIII, e dal 25 gennaio 1959 aveva annunciato la celebrazione di un prossimo Concilio ecumenico.
Negli anni immediatamente precedenti si discuteva vivacemente di cinema cattolico, ma anche di radio e televisione,13 soprattutto dopo la pubblicazione della Miranda prorsus, del 1957. Come già per la stampa, si riconoscevano ormai apertamente limiti e potenzialità pastorali e apostoliche dei nuovi mezzi offerti anche alla Chiesa per esprimersi.
Nelle sue istruzioni sull’apostolato, sulla formazione dei giovani e su quella continua di tutti i membri dell’Istituto, Don Alberione recepisce i documenti con l’insegnamento della Chiesa al riguardo.
Ma nel corso di aprile, è troppo presto per percepire quel radicale e profondo cambiamento che sta per verificarsi con il Concilio. È percepibile una certa fatica ad “aggiornarsi” insieme, in sintonia con il resto della comunità ecclesiale.
La
Domenica pomeriggio del 25 gennaio 1959, festa della conversione di San Paolo e
giornata conclusiva dell’ottavario per l’unità dei cristiani, il Papa aveva
convocato un concistoro segreto nella basilica di San Paolo fuori le mura, del
quale L’Osservatore Romano (26-27 gennaio
1959) pubblicò una breve relazione e un compendio dell’allocuzione pontificia
tenuta in quell’occasione. «Per andare incontro alle presenti necessità del
popolo cristiano, il Sommo Pontefice, ispirandosi alle consuetudini secolari
della Chiesa, ha annunciato tre
avvenimenti della massima importanza, e cioè: un sinodo diocesano per l’Urbe, la celebrazione di un concilio ecumenico per la Chiesa universale, e l’aggiornamento del Codice di Diritto Canonico, preceduto dalla prossima promulgazione del Codice di Diritto Orientale. Per quanto riguarda la celebrazione del Concilio ecumenico, esso, nel pensiero del Santo Padre, mira non solo alla edificazione del popolo cristiano, ma vuol essere altresì un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità, a cui tante anime oggi anelano da tutti i punti della terra».14
Secondo una testimonianza di Don Renato Perino, «la fisionomia di Chiesa come fortezza assediata, sulla difensiva, cominciò allora a trasformarsi in casa aperta al mondo intero, ecumenica nel senso più universale. Don Alberione, pur nella sua fedeltà e devozione incondizionata al Papa, sentiva da tempo la necessità per la Chiesa di un profondo rinnovamento. Conversando confidenzialmente con qualcuno dei paolini,15 pur apprezzando il magistero di Pio XII per i suoi interventi pressoché quotidiani sulle più disparate realtà umane e spirituali, non esitava ad auspicare per la Chiesa “riforme” concrete e incisive».
Dal
canto suo, quando Giovanni XXIII indice il Concilio ecumenico e vi invita il
nostro Fondatore, Don Alberione partecipa con entusiasmo sia alle sessioni sia
alla grande impresa dell’“aggiornamento” della Chiesa,16 e non tanto teoricamente o in astratto, quanto a piccoli passi e
lungo la sua “Via”, la linea retta, che per tutti i cristiani è sempre il
Cristo Maestro e primo Pastore della Chiesa. La validità di questo metodo
evangelico gli fa percepire la necessità di dinamismo e novità,
e di insistere ancora sulla validità di iniziative apostoliche concrete, sempre rispondenti ai nuovi bisogni e ai segni dei tempi, e utilizzando i mezzi sempre più celeri ed efficaci.
Se nell’universo ecclesiastico si inizia ora a parlare di “fratelli separati” non più per condannarli come “protestanti”, ma per invitarli ad un cammino verso l’unità, e se si parla di concilio ecumenico, Don Alberione raduna di fatto, e ancora prima della celebrazione del Concilio, da tutto il mondo ad Ariccia, una sua piccola ONU 17 per illustrare a tutti i suoi un rinnovato spirito di Famiglia, che è universale quanto ai tempi, ai luoghi, ai mezzi e ai contenuti della grande missione ricevuta dal Signore.
Forse, per questo nuovo modo di affrontare le cose da parte del Primo Maestro, particolarmente significativa era stata la sua partecipazione al I Congresso generale – internazionale – degli istituti religiosi, che si era tenuto a Roma dal 26.11 all’8.12 nell’Anno Santo 1950.18 Tema di quel convegno era stato proprio l’aggiornamento degli istituti di perfezione al tempo e alle circostanze attuali, rispetto alla vita e alla disciplina, alla istruzione e alla formazione dei membri, all’apostolato ordinario e straordinario. Dall’8 al 14.12.1957, il II Congresso generale era stato invece ordinato, come disse Pio XII nel discorso di chiusura, a fare un bilancio dei progressi registrati dovunque nel movimento di organizzazione e di rinnovazione degli istituti stessi.
Assieme ai temi della universalità e unità, anche Don Alberione ad Ariccia fece emergere quello di una “organizzazione internazionale”, riflettendo sulla necessità di assumere totalità e modernità di linguaggio e di mezzi, per arrivare realmente a tutti gli uomini di “oggi” con il Vangelo di sempre. La sinodalità, che sarà esaltata dall’imminente Concilio, come necessità della Chiesa di camminare assieme incontro a Dio e incontro al mondo del proprio tempo, sembra anch’essa un metodo valido che Don Alberione fa proprio attraverso la “completezza” della Famiglia coestesa con la parrocchia del Papa, al mondo intero.
Camminare insieme può rinnovarci.
La stessa complessità della missione aperta a tutti e con tutti i mezzi nuovi e vecchi, diventa un principio di aggiornamento continuo,19 se questo è inteso come crescita spirituale e insieme come adattamento pastorale alle mutevoli circostanze del tempo.
Altro argomento del corso, che insieme vale anche come una proposta di interpretazione, Don Alberione lo lascia consapevolmente in eredità, quando parla del progresso come di un dovere, cercando il meglio per l’apostolato.
«Il religioso Paolino – egli diceva in una istruzione – ha scelto la parte migliore, cioè la perfezione»,20 intendendo per “perfezione” quel dinamismo perseverante alla base della formazione del singolo religioso, sia egli Discepolo o Sacerdote, come dell’Istituto e della Famiglia.
«La storia è maestra della vita. Le esperienze altrui possono utilizzarsi per noi; le esperienze nostre ci ammaestrano anche più. Vivere con le persone più istruite, utilizzare le conversazioni, le corrispondenze, prenderne consiglio, indirizzo. Il saggio preferisce le conversazioni, le conferenze, i libri migliori. Le migliori scuole, i migliori maestri, i migliori centri di cultura».21
Secondo Don Alberione, bisogna migliorarsi incessantemente, non isolandosi ma imparando anche dagli altri.
A un rinnovamento pastorale,22 che sarà il motivo melodico dell’imminente Concilio, Don Alberione era molto sensibile da sempre. Nel 1960 uscì anche la terza edizione dei suoi Appunti di Teologia Pastorale.23 La commentava Domenico Grasso, S.I.:
«La pubblicazione della costituzione Sedes Sapientiæ del 31 maggio 1956, integrata dall’altra non meno importante del 3 giugno 1958, con la quale Pio XII costituiva il Pontificio Istituto di Pastorale presso la Pontificia Università del Laterano, ha fornito l’occasione a Don Giacomo Alberione di curare una riedizione aggiornata dei suoi Appunti di pastorale usciti nel 1912. La scienza pastorale, come si sa, è della massima attualità. Ogni libro che viene pubblicato in questo settore suscita interesse e discussioni. L’idea, perciò, di rivedere un libro che ai suoi tempi ebbe un grande successo, è stata quanto mai opportuna. Il compito della revisione è stato affidato da Don Alberione a mons. G. Pistoni del Seminario di Modena. Ne è risultato uno studio che ogni sacerdote in cura d’anime dovrebbe conoscere, perché è un’autentica miniera di consigli pratici e di iniziative sul come rendere fecondo il nostro apostolato» (cf. Civiltà Cattolica, 1961, II, 408)
In breve, anche con il raduno del ’60, oltre che con altri scritti, Don Alberione indica come sua volontà che la Famiglia cammini sempre più con la Chiesa e con i tempi, mirando all’essenziale della sua vita religiosa e apostolica.
Come uomo del suo tempo, Don Alberione adotta una modernità permanente, come contemporaneità e adattabilità del Vangelo a ogni tempo, a tutti i luoghi, a tutte le persone, con tutti i linguaggi che l’uomo di oggi usa e comprende.